Passeggiate al sole e cene a lume di candela

Che sole splendido, ieri. Ne ho approfittato per una delle mie passeggiate chilometriche, utili alla salute della mente e del corpo. Dopo più di un'ora di marcia forzata, sono planata da un’amica per un caffè, e c’è pure scappato un summit su figli e dintorni. A volte, anche l’esperienza di chi già c’è passato prima di te ha una sua validità: se non altro, ti senti meno sola tra i flutti.
Verso sera, ho chiamato il Jurassico: raso al suolo, tanto per cambiare.
Così, ho cambiato io, i miei piani: cancellato l’allenamento in piscina, ho comprato qualcosa per i figli, lasciando agli stessi l’incarico di cucinarsi il pollo alla griglia, e l’ho portato fuori a cena.
“Sei pronta? Andiamo?”
“Mhm… Non vuoi che mi cambi? Sembro Pippi Calzelunghe, con ‘sta camcia a quadroni…”
“A me piaci lo stesso. Sali in macchina che ti porto in un ristorante che mi hanno appena consigliato.”
“Che posto è? Perché se è un posto elegante mi mettono in cucina a lavare i piatti: spero tu ne sia consapevole.”
“Vai benissimo. Garantisco io.”
Tutt’altro che rassicurata da quest’ultima battuta,  mi getto le titubanze alle spalle, e salgo a bordo dello squalo così come sono. Ci mettiamo più di mezz’ora a giungere a destinazione, anche perché il navigatore è più fuori fase di mio marito: per ben tre volte, ci guida in aperta campagna, in viottoli impraticabili o strade chiuse. Quando Jurassico prende in mano la situazione, affidandosi al buon vecchio senso dell’orientamento, ci ritroviamo a filare come treni su una statale larga tanto, con lo schermo impallato su uno sconfortante zona non mappata.
A volte tutta ‘sta tecnologia è fuorviante.
Comunque sia, giungiamo a destinazione: il locale è carino, e fortunatamente deserto. L’unica coppia che ci raggiunge, dopo poco, è combinata con un look del tutto simile al nostro: vedo che il proprietario li tratta come vecchie conoscenze, così mi rilasso. Almeno per stasera non farò la lavapiatti.
Da casa in poi, il dottore non spiccica parola, tenendo una maschera da funerale di terza classe che mi fa disperare di riuscire a rianimarlo. Qualche volta il suo è un caso disperato.
Grazie al Cielo, l’arrivo di un sorso di prosecco e dei menù sortisce l’effetto desiderato: l’uomo inizia a perdere il rigor mortis, e rinasce a nuova vita.
L’atmosfera subisce un brusco viraggio, avvicinandosi a quella di una cenetta romantica a due: fino al momento in cui mi servono il secondo. Un pezzo di carne praticamente cruda, truccata in modo leggermente diverso da una comune tagliata: paradisiaca. Mentre la sottoscritta si bea della morbidezza e del gusto di cotanta meraviglia, il mio cavaliere emette un fischio. Dalla tasca: è il suo cellulare.
Il nostro apre il palmare con nonchalance, lasciando cadere la seguente frase: “Ah, già, vediamo se è l’anatomopatologo: domani dovrei avere il brain cutting…”
La pronuncia di mio marito è agghiacciante, quasi quanto il risultato fonico di quello che ha appena detto: “Brain catering?! Ma che dici???”
“Cutting, cutting!”
Se possibile, la precisazione mi lascia persino peggio; una serie di immagini stile CSI mi attraversa repentina il cervello, mentre protesto: “Mannaggia a te e alla tua pronuncia…E al diavolo anche le tue informazioni non richieste!”
Da quell’istante in poi, nulla è più lo stesso: specialmente la mia tagliata. Tutte quelle fette... Impressione, mi fa. Accidenti!
Promemoria per me: d’ora in poi, proibire a Jurassico l’uso in tavola del cellulare. Con il mestiere che fa, c’è il rischio di vedersi andare di traverso la cena intera.

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