Una vita che non posto: 8 marzo


Oggi, otto marzo, nessuno dei miei figli ha sversato immagini di mimose nel gruppo famiglia, né mia figlia si è sentita in dovere di condividere con me ovvietà stantie o, peggio, frasi paternalistiche scambiate per proclami femministi. 
Una su tutte: non regalate mimose alle donne, regalate loro il rispetto. 
Come se il rispetto fosse un omaggio, gentilmente offerto alle femmine dall'altra metà del mondo, non un dovere imprescindibile, oltre che qualcosa da pretendere. 
Il rispetto, a Casa per Caso, è una presenza costante, e funziona in due sensi: sì dà e si riceve, indipendentemente dal genere. Persino la specie è irrilevante: anche il nostro gatto è rispettato, qui dentro. 
Forse il felino non segue il trend familiare quanto dovrebbe, dimostrandosi talvolta aggressivo e prepotente, ma lì il maschilismo non c'entra. C'entra la sindrome del gattaccio imperatore, insorta a causa dell'eccesso di coccole e premure che riceve, specie da quando Jurassico è in pensione. 
Tutto ciò per dire che: no, non sono una femminista militante. 
Non mi attacco alle parole, e nemmeno le peso: bado ai fatti, e valuto sulla base di quelli. Che a parlar bene son buoni tutti, ma quando si va alla sostanza, spesso e volentieri casca il palco: la coerenza è merce rara. 
Non mi interessa educare il prossimo, polemizzando ad ogni frase politicamente scorretta pronunciata in mia presenza. 
Tuttavia, non smetto nemmeno un secondo di prestare attenzione all'aria che tira, sono estremamente preoccupata quando percepisco il tentativo di arretrare nel campo dei diritti - civili in generale, delle donne in particolare. Le donne sono sempre le prime a patire, quando le società regrediscono - e mi sono impegnata con ogni fibra del mio essere a fare la mia parte, per rendere il mondo un posto migliore dove vivere, per le donne. 
Ho cresciuto una donna responsabile, forte e indipendente. Una donna intelligente, consapevole del proprio valore, capace di arrivare dove vuole, senza mercificare la sua pur notevole bellezza. 
La vedo procedere sicura, grazie a una preparazione solida, frutto di sacrifici e di impegno infiniti. 
Una donna pienamente consapevole del proprio valore, che tratta gli uomini come suoi pari e riesce a farsi rispettare in ogni ambito. 
Perché le ho insegnato a non abbassare lo sguardo, a reagire, a non adattarsi e nello stesso tempo a non cercare la soluzione più semplice, pagandola al prezzo della propria dignità. 
Crescere donne non asservite a una cultura patriarcale è ancora più importante che educare - o rieducare - i maschi: senza la complicità di molte tra noi donne, certe tattiche non potrebbero mai essere messe in atto con successo. Leggiamo, o rileggiamo, Il Racconto dell'ancella.
Assieme a lei, ho educato tre uomini capaci, forti, consapevoli del proprio valore, un valore che collocano all'interno della propria scatola cranica, e non di quella scrotale. 
I miei figli maschi non si credono superiori alle donne, né inferiori a loro. Come la sorella fa con gli uomini, trattano le donne da pari a pari. 
Perché da pari sono sempre stati trattati, tutti, e hanno visto trattare me. 
Nonostante la Koppia Jurassico/Mpc sia molto datata, e il nostro decano di famiglia sia il prodotto del più retrivo patriarcato, nei rapporti con me ha saputo andare oltre i preconcetti somministratigli col latte, ed è stato tanto intelligente da non offendersi, quando in risposta a quelle che credeva premure affettuose io mi arrabbiavo, intimandogli di non fare la chioccia, il patriarca iperprotettivo, condiscente e paternalista. Con me e con i figli. 
Rispetto reciproco, collaborazione alla pari, responsabilità condivise: queste le basi della nostra relazione. 
Questo l'esempio al quale i nostri ragazzi si rifanno, quando interagiscono con il resto del mondo, in qualsiasi contesto. 
Questo per me è essere una donna fiera di sé e della propria femminilità. Un giusto mix di coraggio, dignità, autostima e impegno. 
Una dignità conquistata sul campo, a suon di risultati. Come dovrebbe fare chiunque, indipendentemente dal genere: chi è imbelle ed ebete si valuta come tale. Non si promuove a prescindere, né perché maschio, né perché femmina. Creare quote rosa mi sembra più un erigere uno steccato di colore diverso, più che promuovere la parità di genere. 
Uguali è uguali. Non qualcuno più uguale di un altro. 

Ciò detto, buon 8 marzo. Un pensiero a tutte le donne che si battono per il diritto di essere libere, in tutto il mondo. 


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