Figli e naufragi

Parliamo di scogli, di falle e di procedure di emergenza in caso di naufragio.
Parliamo del gaglioffo, dunque, ma non solo di lui:  parliamo di questo dannato ginepraio nel quale ci cacciamo quando decidiamo di riprodurci, dando un calcio a tutte le nostre certezze, per infilarci in un oceano di guai.
Impreparati a tutto quello che ci accadrà, con l’incoscienza della gioventù oppure la falsa sicurezza data da qualche decennio di primavere accumulate sulle spalle, ci troviamo a scontrarci con ostacoli inaspettati, pessime sorprese e delusioni a ripetizione.
Il tutto facendo i conti con un senso di inadeguatezza tanto devastante da sfiorare talvolta la disperazione.
Che fare, dunque?
Abbandonarci al fluire degli eventi, rovesciando sui nostri figli tutta la responsabilità dei loro fallimenti, o affogare nei sensi di colpa, convinti di non aver fatto mai abbastanza per aiutarli?
Chi è genitore lo sa: di fronte a un figlio che tentenna, pensi sempre che sia tutta colpa tua. Una dinamica della quale la mia vicenda col gaglioffo è l’archetipo perfetto: quando lavoravo, mi accusavo di non seguirlo a sufficienza. Poi ho smesso di lavorare, mettendomi d’impegno a tampinarlo: per sentirmi rimarcare che a fargli da stampella non lo stavo aiutando per niente.
Sempre lì a rimproverare a me stessa errori, deficit e responsabilità varie, mi sono esibita in una serie di cambi di strategia che nemmeno un capitano di fregata in pieno conflitto mondiale: le ho tentate tutte. Dall’interventismo all’astensionismo, passando per l’interventismo a richiesta e all’astensionismo di risposta. Nulla di fatto.
Ho sperimentato il controllo puntuale e continuativo,  quello random, a sorpresa, e infine la fiducia accordata a prescindere. Ci si aspetta che, con gli anni, 'sti figli maturino almeno un po’: ma sembra che l’adolescenza finisca a trent’anni, ormai. Una notizia che mi ha raso al suolo, lo ammetto.
Tutto ciò per confessarvi di aver scoperto una triste realtà: non dipende da noi.
Quello che combinano i nostri figli non dipende da noi: nel bene come nel male, la nostra influenza è del tutto marginale.
Nella nostra foga di fare e dare il meglio ai nostri nidiacei, ci dimentichiamo che ognuno è arbitro del suo destino. Se un figlio decide di non darsi da fare, tu ti puoi pure arrampicare sui muri: lui ti osserverà sudare, fregandosene alla grande.
I ragazzi sanno come fare: non è difficile sfuggire ai controlli. Non siamo investigatori privati: e quand’anche lo fossimo, che senso avrebbe costringere un figlio a seguire un percorso che non sente suo?
Dopo anni di inutili lotte e di delusioni abissali, mi sono rassegnata: ma non mi sento sconfitta. Tutt’altro.
Rimango qui, in plancia, a bordo della nave: non la guardo naufragare dagli scogli. Quella sarebbe pura vigliaccheria.
Conoscendo i miei polli, credo di riuscire a leggere fra le righe, a capire quello che non va e soprattutto a capire quello che potrebbe andare meglio.
Bisogna saper fare un passo indietro quando non è più cosa nostra (e l’ho fatto: dove necessario, ho già passato la palla) ma non possiamo non farci trovare quando la cosa E’ cosa nostra.
Spesso il rendimento scolastico è solo la spia di un disagio più grande, o di un modo sbagliato di affrontare la vita: ed è su quello che dobbiamo lavorare. Non c’è professionista al mondo che possa sostituire un genitore attento e sollecito. Non c’è psicologo che ti possa spiegare perché, e soprattutto quando, dare di nuovo fiducia a un figlio che l’ha tradita mille volte. Devi saper comprendere lui e capire anche te stesso: gestire i tuoi sentimenti e leggere fra le righe dei suoi. Intuire quando devi essere severo  e quando comprensivo, quando dare un’altra chance e quando chiudere tutte le porte. Anche se lì fuori è freddo e gelo.
Non è facile fare i genitori: e i figli non ti aiutano.
Sempre pronti ad autoassolversi, tendono a scaricare su di te le proprie responsabilità, modificando la visione dei fatti a proprio favore. A volte bisogna persino fingere di credere alle loro manipolazioni, perché un ragazzo all’angolo ha bisogno di trovare una via d’uscita. Una volta tornato sulla retta via, però, è giusto fargli notare quanto sia stato scorretto: sia nei comportamenti sia nella reinterpretazione degli stessi. Il tutto senza assumere atteggiamenti giudicanti o rivendicativi: i giovani hanno bisogno di constatare serenamente quanto possano pesare i propri errori, senza il terrore di vedersi sottrarre, a causa loro, l’affetto di mamma e papà.
L’amore incondizionato è proprio questo: volere bene a un figlio, qualsiasi cosa faccia. Perdonarlo quando sbaglia e aiutarlo nel suo percorso di recupero, qualora dimostri una seria volontà in tal senso. Perdonarlo e aiutarlo a trovare una via alternativa, se il suddetto percorso si rivela al di là o al di sopra delle sue forze. E guidarlo nel dirimere fra le due condizioni: non sempre volere è potere. Il difficile è capire quando uno può e quando invece no.
Alla luce di quanto sopra, con Jurassico abbiamo elaborato una strategia: non so se sia quella vincente. Non so se riusciremo a riparare le falle e a rimetterci in navigazione, oppure se il nostro sarà solo un naufragio controllato.
In un caso e nell’altro una cosa è certa: non molliamo il ponte di comando. Qualcosa ci dice che mai come ora la nostra presenza è stata necessaria.


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