La Miss è andata a una festa
Dove
ha conosciuto un ragazzo: single (quasi) convinta da qualche mese, ha accettato
di uscire con lui. L’uomo offre qualche spunto d’interesse, evidentemente.
Il
fattaccio si verificherà stasera.
La
cosa è stata resa nota in tavola, a cena, una sera di queste: nemmeno avevo fatto
caso se Jurassico fosse presente oppure no. Questione irrilevante, credevo.
Ieri
sera, in pizzeria, il nostro mi chiede: “I ragazzi vengono a cena da Davide e Renata,
domani?”
“No:
combinazione, sono impegnati tutti. Impegnati e dispiaciuti: adorano cenare con
noi… Cmq l’ho già avvisata.”
“Ma
dove vanno?”
“I
maschi hanno impegni con gli amici, la Vale esce con il ragazzo della festa.”
Silenzio.
Sguardo
interrogativamente aggrondato, o aggrondatamente interrogativo. Fate voi.
“Beh?
Che ti piglia? Non lo sapevi che usciva con un ragazzo domani?”
Silenzio.
Scuote
la testa, mentre nembi oscuri si accumulano nel suo sguardo.
“Lo
sapevo io. Dovrebbe bastare, giusto?”
Silenzio.
Stavolta
lo sguardo omicida è diretto a me, non c’è dubbio.
“Vuoi
dirmi cosa c’è che non va?!”
Silenzio.
Allarga
le braccia, alza le sopracciglia, aggronda la fronte, arriccia le labbra. Nel
complesso, reagisce come se gli avessi detto che gli asini volano. E mi aspettassi
che ci cascasse.
“Fammi
capire: nostra figlia, anni diciotto, esce con un ragazzo il sabato sera. E a
te sembra una cosa inusitata?!”
Silenzio.
Abbassa
lo sguardo, spalanca le braccia all’indietro, scuote la testa con occhio
sdegnato. Il ritratto del Grande Inquisitore.
“No.
Non aprire bocca per favore. Non hai diritto di parola: se osi dire qualcosa
giuro che litighiamo. Ma dove sei cresciuto, in Afghanistan???”
Silenzio.
Sguardo
saettante di lato, espressione disgustata, sdegno in salita.
“Falla
finita una volta per tutte. E’ un bravo ragazzo, un liceale, grande sportivo,
intelligente e simpatico. Ha anche l’approvazione di tua sorella, che l’aveva
in classe l’anno scorso."
Silenzio.
L’occhio,
più che torvo, adesso è quasi rabbioso: ci mancava anche la santa alleanza tra
cognate. Una pugnalata dietro la schiena, vibrata dalla sua stessa sorella.
“Devo
procacciarmi le generalità di padre, madre, parenti fino alla settima
generazione, informandomi anche sul mestiere svolto dal parentò al gran completo…?”
lo dileggio io, ridacchiando.
Silenzio.
Mutismo
offeso e prolungato, espressione monolitica, occhio chiuso.
“Sembri
il clone di tuo padre, levati quell’espressione dalla faccia altrimenti mi
faccio portare a casa da qualcun altro. Tua figlia è grande, FATTENE UNA
RAGIONE!”
Rientriamo
a casa in silenzio. Si inuma nel talamo con aria sofferente e prende a ronfare
dopo pochi secondi. Gli ci vorrà un po’ per smaltire il colpo, è deciso.
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