Va molto, molto meglio!
Giorno
uno
“Scusa,
ma almeno il primo giorno mi potresti accompagnare!”
“Vuoi
che ti porti a scuola?!”
“Sì.
Non sei preoccupata dell’impatto della novità su di me…?” ghigna.
“Da morire. Ho già allertato lo psicologo dell’ULSS.
Però, se vuoi, ti ci porto.”
“Sì,
lo voglio. Andiamo!”
Durante
il tragitto, in mezzo al traffico, sotto un cielo plumbeo: “Cheppp…. Di nuovo
primino! ‘Sta roba mi rompe proprio…”
“Finiscila.
Sei alto un metro e ottanta, conosci mezza scuola, con quelli che non conosci
farai amicizia in dieci minuti: il periodo di adattamento durerà più o meno una
mezz’ora. Vedrai.”
Gli
avvenimenti si svolgono come previsto dalla vecchia mamma chioccia.
Al
rientro, dopo la cosiddetta accoglienza, un
dinoccolato e disinvolto giovanotto ha mille novità da riferire: “Mamma, è
incredibile! Questi non mirano a spaventarci: gli alunni se li vogliono tenere
stretti!”
La
cosa incredibile, in realtà, è che la cosa gli sembri incredibile. Il fatto è
che ci sono scuole, purtroppo, dove si pratica la politica del taglio di teste.
Il blasone di scuola seria si ottiene falciando chi non risponde a criteri di
eccellenza: non cercando di aiutare ogni ragazzo a esprimere il meglio di se
stesso. E gli insegnanti ti accolgono con un bel discorsetto intimidatorio,
chiuso da una risatitina: “Eheheh… Vi ho spaventati, vero?”
E
poi si lamentano della fuga degli alunni verso altri istituti… Mah.
Tuttavia,
il gaglioffo è soggetto da spronare, non da compatire.
Ergo:
“Bene: ora vedi di sfruttare al meglio questa possibilità. Da questo momento in
poi, il tuo destino è in mano tua.”
“Mhm.
Vediamo cosa riesco a fare: intanto, oggi sono intervenuto (in modo
intelligente, tranquilla!) un paio di volte. I prof erano soddisfatti.”
“Così
mi piaci!”
Giorno
due
“Vado
in bici, oggi. C’è del the alla pesca?”
“Tieni
qua. E cerchiamo di non farci riconoscere! Ricordati che il buongiorno si vede
dal mattino…”
“Già.
L’ho capita, stavolta, sai mamma?”
Chissà che sia vero… rifletto
io, cercando di mantenere un’aria indifferente.
L’individuo,
meditabondo, si allaccia le scarpe, silenzioso. Poi sbotta, afferrando la
cartella: “Non voglio finire in miniera!”
Con le buone maniere si
ottiene sempre tutto… penso io, che lo martello da mesi sul
fatto che, a sedici anni, se non studia lo spedisco a girar malta.
“Ecco
qui, mettiamo la cartella sulle spalle…” sospira, con espressione da vittima.
“Poverino…
Due libri e un quaderno: morirai per la fatica!”
“E’
una questione mentale: mi ci devo riabituare. Sono come un cavallo: lui deve
sopportare le briglie, io lo zaino!”
Sì, è ancora lui. Ora il cambiamento è credibile: un miglioramento è lecito aspettarselo, dopo una botta contro il muro. Una riprogrammazione mentale completa, viceversa, avrebbe il sapore di una recita.
Giorno
tre
“Figurone,
oggi a scuola: ci ha fatto fare un test di inglese. Ho incassato un bravissimo!”
“Ma
va’? Bene! Vuoi vedere che posso sospirare di sollievo?”
“Vedrai,
mamma, vedrai! Tra l’altro, lo sai come sono organizzati? Ci sono anche i corsi
salvagente!”
“Cioè?”
“Per
due mesi si lavora per vedere se ci sono lacune: chi ha problemi, può contare
su corsi di recupero fatti apposta. Lo scopo è portare tutta la classe allo
stesso livello, per partire poi tutti assieme senza lasciare nessuno indietro.
In questa scuola ci tengono, agli alunni!”
Finalmente.
Finalmente, dopo anni di battaglie e di insegnanti a collaboratività zero, una scuola che
funziona. E un figlio che si inserisce nell’ambiente, senza finirne triturato.
Sono
autorizzata a sperare, stavolta? Dio benedica la sua prof delle medie, che mi ha suggerito di iscriverlo a questa scuola.
Non
voglio cantare vittoria, ancora. Ma qualche deciso segnale di miglioramento l’ho
colto.
Vi
terrò informati sugli sviluppi!
P.S.:
I nonni stanno meglio. Li dovrebbero dimettere tra un pio di giorni. E anch’io sono
guarita, sembra. Da oggi, si ricomincia con l’acquagym. Evviva!
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