Quando sparisco per un bel po'...
…
o c’è qualcuno che vuole morire, e fargli cambiare opinione assorbe tutte le
mie energie, oppure c’è qualcuno che muore sul serio, e pure questo mi tira per
terra.
Poi,
se la fortuna decide di prendersi una vacanza, le due cose succedono assieme.
Dopo
svariati giorni di fuoco, dunque, rieccomi qui: di nuovo alla tastiera, ma con
la mente ancora lontana.
Guardo
lo schermo e rifletto: alcune cose non sono facili da dire, ma non per questo
le voglio tacere. Spero solo di riuscire a trovare le parole giuste: a volte la
testa sembra piena di ovatta e i pensieri ci rimangono imbrigliati dentro.
Qualcuno
se n’è andato, in questi giorni.
Se
n’è andato in punta di piedi, così in fretta da non rendersene nemmeno conto: né
lei, né tutti coloro che le volevano bene.
Tina
si è addormentata per sempre: anche se voglio credere che non ci abbia lasciato
per sempre. Soprattutto, che non abbia lasciato per sempre i suoi magnifici
nipoti, degni eredi del suo splendido modo di amare.
L’amore,
quando è così completo e profondo, non si spegne con il respiro. L’amore
rimane, avvolgendo come una nube chi resta, regalandogli una serenità che,
prima, non avrebbe mai sperato di provare.
Chi
ha perso qualcuno di tanto caro lo sa: l’ha sentito, lo sente.
Amici
di famiglia, si dice: ci sono amici con
i quali, però, si diventa famiglia sul serio.
Una
famiglia che si stringe, affrontando assieme quello che di difficile ci riserva
la vita; una famiglia che fa fronte a una prova durissima, trovando nell’unità
e nell’abbraccio reciproco il germe di quel conforto che il dolore fa sembrare
un sogno impossibile.
Potrei
scrivere tante cose, di nonna Tina: potrei parlarvi del suo cuore grande, caldo
come il sole della sua Sicilia, della sua personalità indomita, della sua
perspicacia e della sua abilità nel capire a fondo le persone.
Nonna
Tina, però, era una nonna sui generis,
una nonna che ti stampava le ricette al PC, una bisnonna che passava di qui, a
leggere le mie sciocchezze, e che incontrandomi scherzava su Jurassico, il
gaglioffo o la Stamberga.
La
nonna di un amico carissimo, conosciuta sul lavoro più di vent’anni fa, capace
di far breccia nel mio cuore per non uscirne mai più.
Per
una nonna così non posso scrivere un’orazione funebre. Per una nonna così devo
riuscire a sorridere e, se mi riesce, a far sorridere anche voi.
Così,
vi racconto le sue esequie: o, meglio, vi racconto la mia personale versione
delle esequie di nonna Tina.
Dovendo
salutare per l’ultima volta una donna di rara eleganza, non posso presentarmi
vestita come uno spaventapasseri. Ergo, curo le scelte stilistiche, per una
volta nella vita: un tubino grigio, che il nero fa vedova inconsolabile, le
calze sì, ma non a rete – per evitare l’effetto vedova allegra, stavolta – e per
finire, la scarpa. Scartati sia i tacchi vertiginosi sia il sandalo alla
schiava, mi rimane un paio di decolletée mezzo tacco, in apparenza perfette per
la bisogna. Sono chiuse in scatola da sette anni almeno, ma non importa: le
promuovo a modello vintage, le indosso, m’infilo il coprispalle e parto, alla volta della
chiesa.
Duecento
metri dopo, sento i tacchi che s’impicciano su qualcosa: li guardo, e scopro di
aver sotto i piedi quello che sembra un ammasso di bitume. Da vedere la signora bon ton, con filo di
perle regolamentare, appoggiata alla staccionata con una gamba sollevata,
mentre pulisce i tacchi delle scarpe su un palo di ferro. Di certo, chi assiste
alla scena pensa io sia incappata in un omaggio canino.
In
qualche modo, mi libero delle ultime tracce bituminose, raggiungendo la chiesa:
dove scopro di dover camminare in equilibrio su due chiodi. Il presunto bitume
era il tappo di gomma del tacco, disintegrato dagli anni e dal mio peso. Il
marmo incerato non aiuta il mio già incerto equilibrio: aggiungici l’emozione,
e il crollo appare come una minaccia più che concreta.
Mi
hanno chiesto di leggere la preghiera dei fedeli: non ci fosse una dei parenti
a guidare i miei passi, mi alzerei al momento sbagliato e mi dirigerei al
pulpito errato. Sempre rischiando di cadere dai tacchi chiodati, ovviamente. Grazie alla collaborazione della suddetta anima pia, evito
figure da cioccolatino: almeno finché arrivo all’altare. Qui il mio aplomb cede
di schianto; vedendo schierati di fronte a me la riga di nipoti e pronipoti, il
marito e la figlia della protagonista della cerimonia, mi squaglio come una
pastafrolla, dando una ben scarsa prova di me.
Mica
male, come donna-roccia: friabile come calcare. Con grande generosità, nessuno
mi rimprovera il mio risibile autocontrollo.
Un
suo caro amico ha scritto per lei una pagina commovente e coinvolgente: poche
righe, lette alla fine della cerimonia, ci fanno sentire tutti uniti, nel
ricordo di una donna formidabile.
Dopo
la funzione, la famiglia ci accoglie a casa della nonna: qui ci raggiunge la
Miss, che si trova un po’ in imbarazzo. Che dire alla sua amica, che ha appena
perso la nonna?
Con
un sorriso, le spingiamo una tra le braccia dell’altra: ed eccole lì, che
riescono d’incanto a ritrovare il sorriso.
In
realtà, sorridiamo tutti: si respira una corrente di affetto sincero, profondo,
avvertita da tutti. Poche volte in vita mia mi è successo di percepire così
chiaramente la positività creata da una bella persona.
Sono
sicura che la nonna ci osserva e approva: sorridere e scherzare, tutti assieme,
con un prosecco o una tartina tra le mani, è il modo più bello e più vero per
onorare la sua memoria.
Ciao,
nonna Tina. Grazie per tutto l’affetto che hai regalato a tutti noi.
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