Cronaca di una mattinata quasi normale
“Scusa…
Come mai non ti sei ancora alzato?”
“Eh?
La sveglia… Che ore sono?”
“Sette
e un quarto.”
“Noooooo…
Sono in ritardo! Perché non ha suonato la sveglia? Com’è il tempo?”
“Piove.”
“Ecco!
Se vado in bici mi lavo, se ci vado a piedi arrivo in ritardo! Non sopporto più
questa pioggia!”
“Va
bene, va bene… Per oggi ti accompagno.”
“Grazie.
Comunque siamo sul filo del rasoio. Arriveremo al limite!”
“Esagerato!
Abitiamo a due chilometri dalla tua scuola!”
“Tu
non sai cosa ti aspetta. Vedrai!” afferma cupo il liceale, mentre scende a
precipizio dalla scaletta del suo letto e si lancia in bagno.
Nel
frattempo, io mi caccio addosso il primo capo di vestiario che mi viene
sottomano, affrettandomi verso il
garage: va da sé che non indosso nemmeno un filo di trucco e che l’occhio è da
pesce lesso. Lesso e cecato, per di più: senza lenti, non riesco a trovare gli
occhiali. Avete presente quelle cose quasi invisibili che fanno adesso,
praticamente prive di montatura? Ecco, io ne possiedo un paio: riesco a stare
malissimo lo stesso, con l’aggravante che, quando li cerco, non li vedo. Troppo
trasparenti.
Così,
in mancanza di meglio, mi metto gli occhiali da sole correttivi: alle sette e
quaranta, con un cielo plumbeo da far paura, io esco di casa con due occhialoni
da sole stile Mina. Altro che sintomatico mistero: il mistero è come riesca a
vederci lo stesso. Comunque sia, grazie al cielo ci vedo: estraggo lo squalo,
caricando un gaglioffo rabbioso e imprecante, e mi avvio. O almeno ci provo.
Mio
figlio, poco fa, è stato profetico. Mandrie di bici e motorini allo sbando
impediscono un normale defluire del traffico, più che triplicato per la
presenza di genitori vari ed eventuali (come la sottoscritta), usciti dai loro
antri per smistare i giovani virgulti nei vari istituti. A complicare vieppiù
la situazione, gli anziani in bici, diretti verso la piazza del mercato.
Pedalano a gambe larghe, oscillando pericolosamente da un lato all’altro,
sbilanciati dalla presenza dell’ombrello e disorientati dal turbine di mezzi di
trasporto, turbine che li avvolge minacciando di travolgerli. Quanto a loro,
fanno del loro meglio per facilitare il compito di un eventuale pirata della
strada: ben decisi a mantenere asciutto l’orlo dei calzoni, dribblano le
pozzanghere, sgabbiando verso il centro della strada. Non centrare loro diventa
un atto di virtuosismo alla guida.
Quanto
alle signore, se la pedalata è più elegante (almeno quelle non ti cacciano le
ginocchia nella fiancata dell’auto, quando le superi), sono le bisacce ai lati
del manubrio a rendere il loro equilibrio minacciosamente instabile. Per
fortuna, essendo l’ora quasi antelucana, se ne vedono in giro ancora poche. La
maggioranza delle formiche che sciamano sulla strada sono studenti, con qualche
esemplare di professore ciclomunito.
I
venti minuti a nostra disposizione per raggiungere i container, dove si trova l’aula
del giovane, se ne vanno rapidi, tra semafori rossi, vigili regolari dall’aria
annoiata e pensionati invasati, reclutati come spartitraffico. Inebriati dall’autorevolezza
conferita loro dalla paletta, gialleggiano qui e là ai crocicchi, bloccando
senza pietà ogni mezzo di trasporto, per lasciar passare (uno a uno) centinaia
di ragazzini dal passo lento e l’espressione assonnata. Risultato: dieci minuti
per percorrere duecento metri.
“Lo
sapevo. Che ti avevo detto? Entrerò all’ultimo secondo! Odio arrivare a filo in
questo modo…”
“Calma
e gesso. In queste situazioni agitarsi non serve” obietto io, affettando un’aria
olimpica.
“AAAAARRRRGGGGHHHHH!!!
MUOVETEVIIIII!!!!!!!!!!!” strillo all’improvviso, aggrappandomi al volante con
gli occhi strabuzzati.
Il
gaglioffo scoppia in una risata: “Mi hai fatto prendere un colpo!”
Ridendo,
giungiamo nei pressi della scuola: dove il traffico si blocca del tutto.
Tutta
colpa degli sbarchi in volo: per evitarsi la scocciatura di parcheggiare a
destra, dozzine di genitori si fermano in mezzo alla strada, scaricando i figli
lì dove sono.
“E’
solo un attimo!” pensa ognuno di essi: solo che, facendolo in due dozzine alla
volta, creano un ingorgo mostruoso.
Dopo
aver sbagliato scuola (non mi ricordavo più che il figlio numero quattro NON è
in sede centrale…) arrivo dove devo arrivare, mollando mio figlio davanti ai
cancelli dell’istituto (quello giusto, stavolta) esattamente allo scoccare del
diciannovesimo minuto. Lo vedo sparire di corsa, inghiottito dalle fauci della
scuola.
Scuola
dalla quale tornerà, all’una, con un sette in saccoccia. Inglese, stavolta.
“Mamma,
lo sai che la prof mi ha detto che non avrebbe mai sospettato che fossi così
bravo?”
Bene.
Nonostante la coincidenza di molteplici fattori avversi, anche oggi abbiamo aggiunto un
altro mattoncino alla costruzione del futuro del bandito.
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