Conoscere i figli
Riflessione
d’inizio settimana: chi conosce veramente i propri figli?
La
sottoscritta, no.
Certo,
ho un buon indice di confidenza con loro, abbiamo un buon dialogo, in genere capisco
quando qualcosa non va: il che non vuol dire, però, che li conosca a fondo.
Personalmente,
sono convinta che nessuno di noi si possa vantare di saper prevedere le azioni
dei propri figli, sempre: se fosse così, ci sarebbe qualcosa di malato in un
simile rapporto simbionte.
Mi
accontento di sapere… il giusto, non li assillo con tentativi di estorsione di
affetto, non li ricatto moralmente, cerco di non essere indiscreta.
Se
sei disponibile, prima o dopo arrivano, quando hanno bisogno di confidarsi: l’interessante
è che sappiano di poter fare conto su di te.
Di
fronte agli inevitabili errori di valutazione, trovo inutile prendersela con
loro o con se stessi: uno rivede le proprie modalità relazionali, e cerca di
correggere il tiro.
L’unico
errore da non fare mai, secondo me, è ritenersi arrivati: come in tutti i campi,
del resto. Il cantiere è sempre aperto, e l’elasticità è d’obbligo.
Così
come è d’obbligo mantenere la serena consapevolezza che, essendo esseri umani,
non possediamo doti divinatorie né strumenti di conoscenza perfetti. L’empatia
può essere un buon aiuto: basta non scambiare la proiezione per comprensione.
Non vi so dire quanta gente ho visto attribuire agli altri (in primis ai figli)
i propri pensieri, le proprie tendenze, le proprie opinioni. Mettersi noi loro
panni significa cercare di capire come vivano – loro – una certa situazione: non immaginare cosa
faremmo noi al loro posto.
Eppure…
i più convinti della loro infallibilità sono proprio coloro che buttano addosso
agli altri i propri panni. Dotati dell’empatia di una chiave inglese, si
sentono grandi psicologi: sbagliano tutto con i figli propri, ma insegnano agli
altri come fare con i loro.
“Io
conosco mio figlio da quando è nato!”, dichiarano, sicuri.
E
con altrettanta sicumera sparano giudizi sballati, valutazioni errate,
previsioni deliranti.
Di
norma, ‘sta gente non ascolta il prossimo: al massimo, ti sta a sentire. Salvo
poi usare tutto ciò che dici contro di te: a distanza di tempo, e
decontestualizzando rigorosamente ogni frase, fino a stravolgerne il
significato. Spesso, ricordano anche male: perché capiscono male. Se ascolti
gli altri pensando a ciò che dirai tu di lì a un nanosecondo, può succedere.
Infine,
ci sono gli espertissimi, che non hanno alcuna esperienza in materia: quelli,
poi, si nutrono di certezze. Beati loro.
Ecco,
personaggi simili sono come la gramigna: dannosi e ubiquitari. Te li puoi
trovare tra i piedi inaspettatamente: meglio stare in guardia. Possono fare
danni, convinti come sono di essere i detentori della verità: una verità in
nome della quale indicono crociate, intervengono a sproposito, ficcano il naso
in affari che non li riguardano.
Appena
ne fiuto uno, confesso che cambio strada: sono bravissima a sbagliare da sola.
Non ho bisogno di validi collaboratori. Grazie.
Ecco
perché, tra l’altro, quando la gente mi chiede consigli evito di dispensarne:
al massimo, esprimo un’opinione o racconto una mia esperienza personale. Dato
che fatico molto a decidere il da farsi a casa mia, meglio non mi cimenti in
quella altrui. Di sicuro combinerei un pasticcio.
Voi
come la pensate, al riguardo?
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