Catafascio in corso
Ora:
c’è chi si chiede il perché della mia pervicacia nel pretendere di cavar sangue
da quella rapa di mio figlio. E probabilmente coloro che lo fanno hanno pure
ragione.
Poiché,
però, la sottoscritta è abituata a nuotare controcorrente, lo faccio anche in
questa mesta occasione.
Allo
stato, residua un mese di scuola, suppergiù: poi, arriverà la fatidica
bocciatura annunciata. Ciò che mi propongo (vedremo in seguito che dispone l’interessato,
peraltro) è di portare mio figlio a Giugno con qualcosa in tasca comunque: un
metodo di studio efficace (l’ha capito, ora deve dimostrare di saperlo
applicare), la capacità di esprimersi con chiarezza in forma orale e scritta
(anche qui è migliorato molto: si tratta di non lasciare i discorsi – e i temi –
a metà, perché a portarli a termine si fa troppa fatica) e una preparazione in
matematica paragonabile a quella di un normale studente di terza media.
Arrivassimo
a centrare questi tre obiettivi minimi, si potrebbe dare corso alla sua
richiesta di cambiare scuola, con la speranza che l’anno venturo sia un nuovo
inizio, con buone speranze di concludere l’avventura scolastica con un diploma.
Finito, possibilmente: se fra cinque anni il gaglioffo fosse tanto cambiato da
poter affrontare l’università, si iscriverà. Ma senza la spada di Damocle di
doverla finire per forza, perché un diploma di Liceo è carta straccia,
lavorativamente parlando.
Se,
al contrario, l’uomo dovesse insistere con la pigrizia, le furbate per
nascondere i suoi pessimi risultati e l’autocommiserazione, lo reiscriveremo al
liceo, stessa classe. Almeno non spenderemo inutilmente denaro per libri
destinati a giacere inutilizzati.
Al
compimento del sedicesimo anno, a lavorare: se la scuola è una palla, vediamo
come ti trovi a mischiare malta o a spazzare trucioli in una falegnameria.
Chissà che, almeno, questo sviluppi un qualche interesse alternativo: dovesse fare
l’artigiano, sarei la donna più felice della terra. Peccato che ‘sto
microcefalo non si interessi manco di capire come si cambia una lampadina, o di
come si blocca l’afflusso d’acqua a un rubinetto che perde.
Con
questi obiettivi in testa, l’abbiamo messo di fronte all’aut aut: o ti ripigli,
o sei fritto.
Conseguenza:
sono stata informata che oggi sarebbe stato interrogato in storia.
Il
mio pomeriggio, già bello pieno per la cena da preparare per suoceri e cugini
siciliani, si è arricchito di una consistente dose di battaglie: Maratona,
Platea, Salamina e le Termopili. Non ci siamo fatti mancare nulla: ingozzandosi
di pane (mamma, questo pane è una droga!)
l’individuo vagava tra il salotto e la cucina, declamando antiche vicende e le
imprese eroiche di antichi condottieri.
C’è
voluto tutto il mio eclettismo per scaltrire le bietoline rivedendomi la
personalità di Leonida, per passare dalle zucchine da spuntare a Dario da
ripassare, per finire con lo spezzatino da condire con il pepe e le gesta di Temistocle.
Il tutto con la prospettiva di sciropparmi, di lì a poche ore, un suocero in piena
fase tellurica. Il caro papà di Jurassico (gran persona, nel complesso) ha un
carattere vulcanico, come l’Etna, all’ombra del quale è nato. Se per diversi
mesi sta in quiescenza, limitandosi a emettere un innocuo pennacchio di fumo,
ogni tanto va in eruzione. Ecco, quando è in fase eruttiva, diventa difficile
gestirlo: aver combattuto tutto il pomeriggio le battaglie di suo nipote non mi
ha aiutato ad affrontare con la necessaria serenità la serata che mi attendeva.
Per
fortuna, è andato tutto bene. Siamo riusciti a goderci la meravigliosa
compagnia dei cugini preferiti senza incidenti, e oggi sto qui con le dita
incrociate. Se il gaglioffo mi torna a casa con una sufficienza mi si riaccende
un filo di speranza. In fondo, quella è l’ultima a morire.
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