Una al giorno
Ieri,
dopo peregrinazioni durate l’intera giornata, Jurassico e la sottoscritta sono
crollati alle dieci di sera. Ho letto due editoriali in croce, per addormentarmi
come un ciocco un quarto d’ora dopo essermi infilata sotto il piumino. Stamattina,
verso le sette, il marito mi sveglia, circondandomi con le braccia in un tenero
abbraccio. Ancora mezzo addormentata, mi accoccolo contro di lui: questi
momenti rubati sono i migliori della giornata. Indugiare a letto cinque minuti
di più, ignorando deliberatamente le cifre proiettate sul soffitto dalla
sveglia digitale…
Oggi
l’uomo è di guardia. Tempo un quarto d’ora e saremo in piedi, in piena
attività: lui per prepararsi al lavoro, io per solidarietà. E perché lui fa il caffè
meglio di me: non me lo perdo, solo per restare mezz’ora in più a poltrire. Non
ne vale la pena.
Abbandonata
fra le sue braccia, lascio vagare il pensiero: stasera ci aspetta una cena con
gli amici, convocati per un baccanale a base di tigelle, salumi e lambrusco. Inizio
a pensare all’organizzazione delle scorte alimentari… E schizzo fuori dal letto
come una molla: afferro una vestaglia, me la butto addosso, per lanciarmi verso le
scale, emettendo quello che deve sembrargli un brontolio indistinto.
“Dove
vai?!” mi grida dietro un attonito Jurassico, mentre io fiuto l’aria come un
segugio.
“I
CARCIOFI!” rispondo, apparentemente delirando.
Di
nuovo: ho di nuovo dimenticato una pentola sul fuoco. Quella a pressione, con i carciofi dentro: lasciandola
sul fornello la notte intera, stavolta. Roba da scatenare un incendio.
Per
fortuna, ho usato lo scodello: i carciofi non erano a diretto contatto col
fuoco. Questo, tenuto al minimo, ha lentamente disidratato ogni singola goccia
d’acqua contenuta nella pentola. Senza rovinarla, incredibilmente. I carciofi,
ovviamente, ne sono usciti immangiabili: non erano tanto carbonizzati, quanto piuttosto
mummificati. Parevano usciti dalla tomba di un faraone egizio.
Un
vago sentore di bruciato ha invaso la casa, senza però impestarla: un paio di
spirgli di finestra aperti, e sono sparite quasi tutte le tracce della mia inettitudine. Le
uniche vittime sono state i miei capelli, che hanno assorbito la zaffata di
vapore uscita dalla pentola incriminata. Quando sono tornata da Jurassico, puzzavo come
una cicca spenta.
“Perché
non mi avverti, quando metti le pentole sul fuoco, amore?” mi chiede lui,
accarezzandomi.
“Perché
non puoi fare anche questo, tesoro: il controllo a distanza di tua moglie non è
realizzabile. A meno che non mi narcotizzi prima di uscire. Devo ricordarmi di
usare il timer, altrimenti finisce che facciamo la fine dei polli!”
Ridacchiando,
il marito conviene con me sulla necessità sopra esposta. Il tutto senza
arrabbiarsi nemmeno un pochino. Mio marito è un santo. E un martire,
aggiungerei: tu guarda che razza di femmina infausta si è andato a sposare…
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