Viaggiare, sì, viaggiare...
Sono
qui. Con una connessione lenta quanto un palombaro ubriaco, in una location
vicina ai confini del mondo civilizzato, ma felice.
Ieri
Jurassico mi ha portata in giro per centinaia di chilometri, cavalcando due
passi montani, guidando rasente a spuntoni di roccia e in mezzo a boschi di
conifere.
Un
percorso paesaggisiticamente ameno, reso vieppiù interessante da un dettaglio, tutt’altro
che casuale: esso passava di fronte alla casa alpina dov’è ospitato il nostro
gaglioffo.
Cuore
di babbo non ha resistito: con una deviazione di cento km circa, è andato a
sincerarsi di persona che il detto “nessuna nuova, buona nuova” risponda a
verità. Credo di non sbagliarmi: l’unico personaggio impegnato a saltare come
una molla, fuori dal telone dov’era accolto tutto il gruppo, era proprio lui.
Siamo passati senza fermarci, ma i pinocchietti a scacchi e la gamba
lunghissima e scavallante mi parevano i suoi.
Trattenere
il pater familias dal fermarsi e andare a dare un’occhiata più da vicino è
stata un’impresa epica. Ho dovuto minacciarlo di ritorsioni fantasiose e
crudeli, per riuscirci.
Si
è rasserenato solo dopo aver pranzato in mezzo a un bosco e grazie un sorso del
rosso locale, reperito poco dopo in un alberghetto dal nome evocativo: Il Tastavin (L’Assaggiavino, per i non
veneti).
Degna
di nota la reazione di un’anziana signora, ospite della struttura stessa: dopo
avermi salutata con simpatia al mio arrivo, mi ha osservata con un sorriso un
po’ sorpreso, mentre sorseggiavo la più classica delle ombre.
“La
tristezza passa via, eh…?”
“Non
mi dire che conosci anche questi…” è stato il commento rassegnato di Jurassico.
“No,
no, tesoro. E’ che faccio questo effetto, alla gente: non so perché. Si vede
che, con la mia aria da signora tutta a postino, non si aspettano che beva come
un carrettiere!”
Dopo
tale pausa corroborante e un caffè rinvigorente, ci siamo rimessi in moto:
rischiando anche un deep kiss con un autoarticolato carico di tronchi d’albero.
Trascinato dalla sua massa gigantesca, ha iniziato a frenare appena ci ha
visti, ma è riuscito a fermarsi solo a sei centimetri dalla nostra mansarda. Le
strade di montagna sono dannatamente strette, accidenti. In cabina, Jurassico
frenava, silenzioso e concentrato, mentre io sudavo freddo, imprecando. In
siciliano, tra parentesi.
Il
camion non ci è entrato in camera da letto e con una breve retromarcia siamo
riusciti a levarcelo di dosso. Poi, abbiamo raggiunto la nostra meta finale:
dove abbiamo scoperto, con sgomento, che anche il nostro ristorantino di
riferimento ha dovuto piegarsi alla barbarie. Già luogo di delizie, dove potevo
trovare meraviglie tipiche del Tirolo, come il pane di segale e i funghi
gallinacci, scaltriti con l’alloro e il chiodo di garofano, mi sono vista
recapitare una brodaglia rossastra, diluita con la panna, dove galleggiava
qualche raro funghetto, in piena crisi d’identità. Un abominio. A ciò si
aggiunga il panino all’olio, esangue e decongelato
di fresco: per poco non scoppio in lacrime.
Alla
mia cortese richiesta – almeno un tozzo di pane di segale, per pietà… - mi è
stato risposto, con marcato accento teutonico: “Scusa, signora, non ne ho.
Adesso questa gente chiede cose
diverse…”
L’invasione
dei russi sta snaturando le nostre montagne. Quasi quasi inizio una mia
personalissima guerra fredda, in difesa dei cereali sud-tirolesi, del prosciutto
di cervo e delle salsicce con i semi di cumino.
Sono
stata colpita nelle mie radici trentine: non so se supererò anche questa. Quando
è troppo, è troppo!
Commenti
Posta un commento