Obsession
Ebbene
sì, partire è un po’ morire. Specialmente quando devi armare un transatlantico,
pensare a tutto per tutti, la colf è già in vacanza da una settimana e tu ci vorresti essere da sei. Ogni volta,
mi riduco all’ombra di me stessa: e stavolta non ha fatto eccezione.
Dopo
una giornata matta e disperatissima, con Jurassico – reduce anche lui da una
notte di guardia - in stato di
incoscienza già da ore, riverso sul talamo coniugale, mi sono furtivamente
introdotta in camera del gaglioffo. Era mezzanotte passata, volevo sollecitarlo
a inumarsi nel letto, onde non trovarmi l’indomani con un cadavere, al posto di un figlio.
AAAARRRRGGGHHHH!!!!
Sono
stata accolta da un urlo di orrore.
“Mamma,
mi vuoi ammazzare? Mi compari davanti così, senza preavviso?! Con quella veste,
gli occhiali e quei capelli, sei spaventosa! Tu mi rovini l’infanzia, con
questi traumi…”
“Piantala
con questa sceneggiata e vai a letto!”
“A
letto? Adesso?”
“Sì,
adesso, senza discussioni.”
“Gnmngrrgnmm… Avrò gli incubi. Me lo sognerò, questo mostro di madre!”
Esagerato, mi
sono detta. Fino a quando sono passata davanti allo specchio dell’ingresso,
dove ho fatto un salto indietro, vedendo l’obbrobrio ivi riflesso. Ero tanto
orrida da non riconoscermi nemmeno.
Assicuratami
così una bella dose di depressione, stratificatasi sopra la stanchezza, ho
raggiunto l’amato bene – che per fortuna non era in grado di vedermi, perché
sempre in catalessi – e sono piombata in un sonno ristoratore. O quasi. Otto
ore dopo, ci sono voluti una doccia, tre caffè, una lauta colazione e mezz’ora
di restauro in bagno per tornare ad assumere un aspetto guardabile. Nel
frattempo, il pilota caricava l’acqua, controllava gli impianti e caricava i
bagagli, via via predisposti dai ragazzi. Verso le undici e mezzo, siamo
salpati.
Come
sempre, i due “piccoli” depongono le armi appena salgono in camper; da piccolo,
Matteo diceva: “Qui dentro c’è più amore. A casa Valentina mi odia, qui mi
coccola…”
Ora
non lo coccola più, ma fra di loro si instaura all’istante una normale
relazione fraterna: si parlano, invece di abbaiarsi contro, scherzano, si
sorridono e sono molto coesi. Nel prendere in giro me, ça va sans dire.
Dopo
poche ore di viaggio – ce ne siamo sparate nove, per la cronaca – mi sono mossa
per prendere qualcosa in coda: intercettata da uno sguardo dolce di Elastigirl,
ne ho approfittato per rubarle una coccola.
“Ma
vieni qui, buffo tacchino… Senti come sei morbida!”
Ho
risposto con le solite fusa – sono un tacchino poliglotta: ronfo come un gatto
- mentre la Miss mi osservava con
maggiore attenzione e uno sguardo perplesso.
“Ma
scusa… Cosa hai fatto ai capelli?”
“Li
ho sistemati stamattina. Perché?”
“Perché
sembri un barboncino!”
Umidità,
sarai la mia morte.
Meno
male che si va a Sud, in un posto dove umidità non ce ne dovrebbe essere nemmeno un po'.
Anzi, ci attendono laghi cristallini e spiagge bianche, tipo Caraibi, a sentire
il pater familias.
Nel
frattempo, si è accesa una discussione, sul solito tema: i nostri piedi. Come
già illustrato su queste colonne, il piede egizio vs quello romano vince,
nell’indice di gradimento dei figli. Matteo mi odia per averglielo trasmesso
per via genetica, la Miss si vanta del suo, dileggiando i nostri. Io li difendo
strenuamente, molto orgogliosa della loro regolarità geometrica. Alla ricerca
di sponda, ieri ho provato a invocare Jurassico, chiedendogli un giudizio sulle
mie estremità. E lì mi è arrivata la mazzata finale: “Tu non hai due piedi. Hai
due pantegane!”
Eccolo
lì, tutto l’amore. Mi stanno facendo venire il complesso dei piedi e
l’ossessione dei capelli. Come farò a ricostruire una quota accettabile di
autostima, dopo quindici giorni trascorsi con una simile famiglia di
picconatori?
Sempre
più disperata, ho deciso di concentrare la mia attenzione sulla cartina topografica,
come da indicazioni jurassiche. Verifica del percorso dettato da Tomtom: della
tecnologia è bene fidarsi sì, ma con juicio. Talvolta siamo finiti in grossi
guai, per averlo acriticamente ascoltato. Il navigatore stavolta non ci ha
tradito, conducendoci fino alla meta: dove ci hanno accolto un boschetto
magnifico, un clima straordinario, uno stellato inimmaginabile… e un preoccupante
coro di rane, ranocchi e raganelle.
Sceso
dal camper, il manigoldo è andato in avanscoperta, appropinquandosi alle rive
del preteso lago cristallino: “Mamma, ci siamo. Abbiamo raggiunto le Paludi
Morte!”
Dove siamo finiti? È stato il pensiero unanime dei ragazzi, mentre Shrek
gongolava poco distante, completamente integrato nel suo ambiente. La
sottoscritta osservava la location, traendo conclusioni e formulando previsioni.
Che
vacanza ci aspetta? Il seguito alla prossima puntata.
Commenti
Posta un commento