Filosofia da passeggio

Domenica incerta, sotto tutti i profili. Jurassico e io, convinti fautori del detto mens sana in corpore sano, alle sette e mezzo siamo già in moto, pronti per otto chilometri di passeggiata di buon passo. Con ‘sto tempo mutevole, meglio approfittare del sole, quando quello fa capolino.  Marciamo mano nella mano, chiacchierando delle cose nostre e scambiandoci qualche piccola stretta affettuosa: stasera l’uomo sarà di guardia notturna.
L’imminente separazione coatta ci rende pericolosamente teneri: ridicoli. Manco fossimo due sposini in luna di miele.
Approdiamo in un bar, dove tra l’altro il profumo delle brioches appena sfornate fa di me un’infame peccatrice, dove adocchiamo una locandina pubblicitaria. Si sollecitano i genitori a iscrivere i figli a un corso estivo di sport.
Anche noi lo faremo: giusto ieri, il gaglioffo, dopo essersi ingoiato mezza tavoletta di cioccolato, due yogurt con i cereali – sempre al cioccolato – e un bicchiere di latte, ha dichiarato di voler riprendere col tennis, dopo gli esami.
“Mamma, mi sto ingrassando? Ci tengo, alla mia tavola da stiro…” mi ha chiesto, sollevando la maglietta sulla tartaruga stanziata sotto il suo ombelico.
“Amore, non so come sia possibile, dato quello che mangi, ma sei ancora in forma perfetta. Comunque, iscriviti pure al corso estivo di tennis, se vuoi…”
“Certo che voglio. Un po’ di sport, sole, aria aperta… e gli amici, soprattutto!”
La componente ludica non manca mai, per fortuna.
Mi chiedo cosa ne sia di tale componente in altri contesti, tuttavia: nella famosa locandina del bar, quello pubblicizzato era uno stage estivo di calcio. I due pulcini quasi implumi, immortalati nell’effige, erano colti nell’atto di un contrasto (o comediavolosichiama: non me ne intendo...): comunque sia, si contendevano la palla, non si sa se in partita o in allenamento. Uno artigliava col braccio il compagno, cercando di spingerlo indietro, l’altro era chiaramente sul punto di sparargli una gomitata nei denti. Una scena di wrestling, più che un duello sul campo fra gente sportiva.
Se a questo si aggiungono gli episodi di ordinaria violenza cui si abbandonano i genitori, in partita, sugli spalti dei campetti dove giocano squadrette amatoriali di creature in età scolare, c’è davvero da pensare. Forse noi non siamo abbastanza agonistici, e i nostri figli con noi, ma non ricordo comportamenti così violenti e aggressivi, sugli spalti che ho frequentato in passato. Quanto alla competitività fra genitori…le gare dei nostri figli diventavano un’occasione per stare tutti assieme, non di rado chiudendo la giornata tutti seduti attorno a un tavolo, a brindare a una sconfitta vissuta con onore.
Noi siamo sempre stati più interessati al fatto che imparassero a perdere, piuttosto che a vincere: per quello c’è sempre tempo. A digerire le sconfitte, invece, è meglio abituarsi da piccoli: purtroppo, la vita ne è fin troppo prodiga. 
Questa filosofia da perdenti, maturata sotto un cielo a pecorelle e sotto la spinta di refoli di un vento sempre più rabbioso, ci classifica senza alcun dubbio come genitori passati di moda. Jurassici, addirittura. E fieri di esserlo, ahimè.  

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