Illuminismo
Tempo di colloqui scolastici, per Mpc. Ieri ho raggiunto il top: un
colloquio alle nove e uno alle dieci. A venti km di distanza l’uno dall’altro:
più che una donna, una pallina da pingpong.
In più, avete presente i trascorsi del gaglioffo? Vi ricordate quel
che mi sono passata per fare di lui uno studente accettabile?
E’ da allora che detesto andare a parlare con i suoi prof: non riesco a
scordare lo sprezzo con cui era trattato, la sufficienza con la quale tutti mi
guardavano quando sostenevo che, facendo breccia sulla crosta superficiale,
avremmo scoperto un ragazzo normale.
A dire il vero, il mio cuore di mamma mi sussurrava che la mia prole è
speciale: però il raziocinio, alla prova dei fatti, mi raccomandava maggiore
prudenza.
Volare basso, dunque: volare sì, però.
La rassegnazione è un sentimento che non mi appartiene, con i miei figli
meno che con chiunque altro: così, non ho mai smesso di aver fiducia nelle loro
possibilità. Quali che fossero i loro risultati.
Un insuccesso non è una condanna a vita, un errore non è il segnale di una
tara strutturale, uno scivolone non compromette il tuo futuro per sempre.
Ognuno di noi è arbitro del suo destino: mai mi sono stancata di ripeterlo,
a ognuno di loro. Noi possiamo essere al loro fianco, ma non sostituirci a
loro. Ecco perché è da loro che doveva partire la volontà di migliorare, di
eccellere addirittura.
A quanto pare, la nostra strategia alla lunga ha funzionato.
Ieri un’insegnante del gaglioffo si è complimentata con me: dice che nostro
figlio esce da una famiglia “ illuminista”, e si vede. A quanto pare, il
gaglioffo è sbocciato.
I problemi sono risolti, la crosta si è sbriciolata, lasciando spazio a
tante buone qualità che – una ad una – fanno capolino, rendendo la sua
performance migliore ogni giorno. E lo pensano tutti.
La cosa, a dire il vero, non riguarda solo lui: è così per tutte e quattro
le belve.
Ognuno di loro ha trovato il suo percorso e tutti quanti stanno ottenendo
successi che solo due anni fa mi sarebbero sembrati pura fantascienza.
A dimostrare che a dare fiducia ai figli non si sbaglia mai: nemmeno
quando, apparentemente, non ne fanno buon uso.
Preferisco essere fregata cento volte da un figlio immaturo che sospettare
a torto una sola volta di un figlio onesto.
Così come credo che, a furia di “seconde” occasioni, anche il figlio più
ostinato capirà che è da scemi continuare a fare il proprio danno.
L’importante è non commettere l’errore di giustificare i loro errori: ogni
volta che un figlio sbaglia, va messo di fronte alle proprie responsabilità,
impedendogli di lavarsi la coscienza e autoassolversi.
L’onestà mentale è una pianticella che va coltivata con ostinazione; è
fragile, in generale poco considerata, sicuramente di difficile gestione.
A volte è tremendamente dura guardarsi in faccia, ammettendo i propri
torti: ma è la condizione fondamentale per migliorare.
Se non si capisce questo, non si imparerà mai nulla nemmeno dalle
punizioni: che esse arrivino dai genitori, dagli insegnanti o dalla vita, non
lasceranno traccia. L’autoconsapevolezza, invece, è ciò che spinge al
cambiamento.
E questo non vale solo per i nostri figli. Vale anche per noi: non si è mai
arrivati, nella vita.
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