Chi parte e chi resta
L’ho già detto. Sto iniziando a familiarizzare con l’idea che qualcuno dei
miei rampolli spicchi il volo per lidi lontani.
Da figlia di profuga a madre di cervello in fuga: c'è da rifletterci
sopra.
Ebbene, il commento su FB di un’amica (andata a vivere in Inghilterra) mi ha proprio fatta pensare, ispirandomi questo
post.
Chi se ne va è coraggioso, pieno di energie, orgoglioso di se stesso e di
quello che riesce a conquistare. Gente da ammirare incondizionatamente.
Ogni risultato conseguito ha il sapore di una conquista: una soddisfazione
senza prezzo.
Chi ha trovato il coraggio di partire e ricominciare tutto da zero non si
fa abbattere dai problemi, ma trova il modo di risolverli. Si complica la vita,
è lontano da tutti, si deve arrangiare, spesso in un ambiente ostile o
sospettoso: persino parlare è difficile, all’inizio. Per non parlare dell’adattamento
a un Paese diverso da quello in cui sei cresciuto.
E’ per quello che tanti non osano.
E’ per quello che molti rimangono, limitandosi a lamentarsi di come nulla
funzioni, senza però far niente per contribuire a migliorare le cose.
Ci sono quelli che non si muovono, perché stanno troppo bene nella nicchia
creata da mamma e papà.
Quelli che vegetano nell’insoddisfazione, aspettando che le cose si
aggiustino da sé.
Quelli sempre arrabbiati con tutti e con tutto, capaci solo di strepitare e
distruggere, perfetti inetti quando si tratta di costruire un’alternativa
credibile.
Ma non c’è solo questa gente qui.
C’è anche chi rimane perché riesce a crearsi delle ottime occasioni anche
qui e lavorare sodo per crescere non gli fa paura. Sono quelli che rendono
migliore la nostra nazione e la stanno mantenendo a galla.
Quelli che costruiscono nonostante tutto. Quelli che le tasse, i lacci
burocratici, le rogne infinite li ammazzano. Però non smettono, perché la
passione è più forte delle difficoltà e delle delusioni.
Quelli che pensano in grande e vedono in un licenziamento un’occasione di
miglioramento.
Ci sono anche quelli che restano perché devono farlo, perché andarsene
sarebbe una fuga, perché i problemi che devi risolvere si acuirebbero se tu te
ne andassi. Parlo per esperienza, tanto per essere chiari.
Sei di fronte a un bivio, tuttavia non hai scelta: la strada per te è già
segnata. E non è quella che prenderesti se fossi libero di decidere.
Chi rimane in questa situazione, inchiodato dalle sue responsabilità, come
può evitare di finire travolto dai rimpianti, macerandosi in una vita di
insoddisfazione e rancori latenti?
L’unica strada è cercare il lato migliore di ciò che sei costretto a fare. Trovare un motivo per sorridere ogni giorno,
senza mai voltarsi indietro. Vivere l’oggi come se fosse l’ultimo giorno,
rimanendo con lo sguardo fisso al futuro.
Non perdersi nella quotidianità ma mantenere viva la progettualità: la
tensione verso un obiettivo da raggiungere ti mantiene giovane e lucido.
Non farsi schiacciare dai problemi: se non esiste soluzione, c’è sempre
almeno il modo per renderli meno impattanti sulla vita nostra e di chi ci sta a
cuore.
Ogni medaglia ha il suo rovescio: anche nei momenti più neri c’è una
piccola briciola di positività. A quella bisogna aggrapparsi, facendola
crescere e cercando in essa il motivo per andare avanti con speranza.
Non perdere la fiducia. In se stessi e negli altri: i rapporti umani sono
una miniera di potenzialità positive. Il fatto che possano deluderci
profondamente, in certi casi, non implica che debba succedere sempre. E una
bella persona che entra nella tua vita ne vale mille che l’hanno sfiorata,
lasciando un pessimo ricordo, destinato a sbiadire nel tempo.
Si può costruire la propria vita e la propria felicità anche restando: e a
volte l’orgoglio di non essere scappato può essere grande quanto quello di chi
ha trovato la forza per andarsene.
A volte ce ne vuole persino di più a rimanere. E accettare di vivere, qui e ora.
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