Le valigie nell'ingresso



Per favore, non ditemelo.
Non ditemi così: sta andando solo a Padova,  lo posso andare a trovare quando voglio, con Skype sarà come se fosse qui, anzi, meglio. Salvo rare eccezioni, con quella giovane ostrica non si scambiano più di dieci parole al giorno.
Non ditemelo:  è un adulto, se vivessimo in un Paese anglosassone sarebbe fuori di casa da anni, ha finito la triennale dunque evviva evviva, con questo sistema anche la magistrale arriverà prima di sicuro.
Sono tutte cose che so e che mi ripeto come un mantra da un pezzo.
Stamattina è tutta un’altra cosa, però. Stamattina le valigie stracolme sono tra i piedi per l’ultima volta, tra poco andrà a prendere il treno e da stanotte non dormirà più a casa.
Un’altra testa sul cuscino che non posso più contare prima di andare a dormire.
Senza contare che di certo nel prossimo biennio un’esperienza all’estero salterà fuori: e allora lì sì che non sarà dietro l’angolo. E poi, se non torna? Se trova fuori dai confini nazionali il suo destino?
Lo so, lo so: sono io la prima che se ne voleva andare. Sono io che gli ho insegnato a guardare la vita senza il paraocchi. Sono io che ho cercato di insegnargli ad essere cittadini del mondo.
Tutte queste sono razionalizzazioni.
L’unica cosa vera è il mio cuore che si sbriciola un’altra volta, un mese esatto dopo la prima. Vediamo se stavolta riesco a evitare di aggrapparmi al suo collo come una scimmia, frignando come una fontana. Vi saprò dire. Nutro forti timori sulla resistenza delle mie paratie, però. Lo confesso.

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