La verità mi fa male
Una
coppia di amici ci viene a trovare, assieme ai loro due bimbi: un tellurico
quanto simpatico maschietto di cinque anni e la graziosa sorellina di diciotto
mesi.
In
meno di mezz’ora, Casa per Caso assume l’aspetto che per anni ha avuto
ventiquattr’ore su ventiquattro: un tappeto di giochi copre il tappeto del
salotto, una cassa di Lego ingombra il passo, soldati, mostri e animali
orribili sciamano per ogni dove, mentre i due minori bisticciano per proprietà
e utilizzo delle numerose risorse a disposizione.
Tutto
regolare, insomma.
Con
l’occhio tremulo, osservo la scena, rilanciata indietro di tre lustri, ai tempi
nei quali erano le belve a impazzare nel salotto. Solo che, se la mente torna
ai miei verdi anni, la mia spoglia mortale rimane ancorata alla sua attuale
condizione, sotto l’occhio impietoso della gioventù d’importazione. Seduta in
braccio al papà, la piccina mi osserva fissamente, con la fronte aggrondata e
un’espressione vagamente incerta. Dopo un breve periodo di meditazione, mi
dedica un sorriso spalancato ed esclama: “Nonna!!!”, provocando un coccolone a
suo padre, il quale inizia ad arrampicarsi su ogni possibile specchio per farmi
credere che la bambina chiama tutti nonno
oppure nonna.
Come
controprova, cerca di dimostrarmi che tale appellativo non risparmia nemmeno il
fratellino: “Costanzaaaaa, chi è quello…?” le domanda, indicandolo.
Ignara
di tutto, sopraggiunge la mamma, che rincara la dose: “Chi è quello? Il t…”
“TATO!!!”
è la corretta risposta della bambina, risposta che precipita il padre nella
disperazione.
“Nooooo!
Me l’hai messa fuori strada! Ci stavo riuscendo…”
Occhiata
interrogativa di lei, incapace di capire il motivo per il quale tato, riferito a un bambino di cinque
anni, possa essere considerata una risposta sbagliata.
Sghignazzando,
la informo dei risibili tentativi di suo marito di far chiamare nonno il povero piccolo. Roba da fargli
venire una crisi d’identità già alla materna.
Comunque
sia, io devo superare la crisi che ha preso me, nel rendermi conto che ormai
sono ridotta ad essere identificata come antenata; nel frattempo, ci raggiunge
Jurassico, il quale viene accolto da un grido trionfale: “NONNNNNNO!!!”
Qui
non c’è stata nemmeno l’esitazione iniziale: la datazione è stata immediata e
precisa.
Magra
consolazione per me, che nel frattempo sto metabolizzando a fatica il primo nonna della mia esistenza.
In
qualche modo, me ne faccio una ragione, dichiarando: “Insomma, ho un figlio di
ventisei anni. Potrei essere nonna eccome!”
Avete
presente, no, quelle cose che si dicono e si sanno, senza però sentirle davvero
dentro? Ecco, diciamo che raggiungo quella fase e lì rimango, tutto sommato
senza sentirmi eccessivamente male.
La
botta finale arriva tre giorni dopo, quando mi ritrovo ferma in coda, alla guida
dello squalo. Lungo il marciapiede, vedo avanzare una mia vecchia compagna di
scuola, alla quale invio un allegro
cenno di saluto. Costei risponde sbracciandosi come un controllore di volo,
cercando di dirmi qualcosa. Abbasso il finestrino e lei mi strilla, tutta
felice: “Ciao Vale!!! Sai che sono diventata nonna?!”
Mi
sono congratulata. Ma solo perché sono una donna beneducata e vittima (per
fortuna) di potenti freni inibitori. Avessi detto quello che pensavo veramente…
Poverina. Non è colpa sua, ma certe verità fanno male. E tu detesti chi,
impietoso, te le schiaffa davanti.
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