A volte anche le cose belle ti danno un sottile dispiacere



La Stamberga è vuota.
L’informatico e Jurassico sono andati al lavoro, il gaglioffo e la Miss a scuola. Quanto al filosofo, è appena partito per Bologna.
Che quando prende la macchina per fare viaggi lunghi mi viene sempre un groppo alla gola: se con l’informatico (il quale dentro all’auto in pratica ci vive) ci ho fatto in qualche modo il callo, con Andrea ho ancora delle reazioni decisamente umorali.
Evito di rendermi ridicola chiedendogli di avvisarmi quando arriva, ma so che soffrirò per ore e ore.
Possibile che la mia testa sia così disconnessa dal cuore, quando si tratta di loro? Perché il mio raziocinio conosce un blocco, quando mio figlio accende il motore?
Sono malata. E non c’è cura, per quanto ne so.
Figuriamoci cosa farò quando la Miss s’iscriverà a scuola guida: mi dovrò iscrivere a un corso di training autogeno.
La mia piccolina, quella cui davo il biberon solo l’altro ieri, alla guida di un’auto?
E’ decisamente troppo, per me. Dovrò ricorrere all’ipnosi, per restare tranquilla.
Ci volevano poi i suoi progetti scolastici, per completare l’opera: finito il Liceo, andrà all’Università. A Milano, però: così la vedrò uscire dal nido a nemmeno vent’anni, ben sapendo che difficilmente vi farà ritorno.
Quanto al bolognese per un giorno, quello si sta organizzando per espatriare addirittura: vederlo organizzarsi, prendere informazioni, pianificare e far conti m’intenerisce e mi riempie di orgoglio.
Per non parlare dell’informatico: incaricata da lui, devo iniziare a sondare il terreno nei dintorni. Entro pochi mesi, vuole trovarsi un appartamento: il che significa che questo il volo lo spicca sul serio. E a brevissima scadenza, tra l’altro.
I miei ragazzi sono cresciuti: forti e indipendenti, pensano al loro futuro e pianificano la loro vita puntando solo sulle proprie forze.
Ricordo che questo era il mio sogno e il mio obiettivo, quand’erano piccoli: sono felice che si stia realizzando.
Sfaccendando per casa, con la testa piena di questi pensieri, m’infilo nella camera del gaglioffo: temendo di cadere preda della sindrome da nido vuoto, mi metto a riordinare e spolverare un anfratto del suo antro che sfugge alla normale manutenzione.
Rischio di silicosi a parte, è un’operazione salutare: dopo meno di un quarto d’ora ritrovo un senso al mio ruolo di mater familias. Con questo c’è ancora da fare: parecchio, direi.
Durante la sistemazione della libreria, mi capita in mano un vecchio caleidoscopio. Impossibile resistere alla tentazione di guardarci attraverso: è un tripudio di colori, di forme diverse e cangianti, in un baluginio di lampi di luce.
Un po’ com’è stata la mia vita, negli ultimi diciotto anni: caleidoscopica. E come non sarà mai più, ora che uno a uno se ne andranno: sì, è una gioia pensare che sono grandi e autonomi. Però il ricordo della vita pirotecnica che mi hanno regalato, per quasi metà della mia vita, mi fa stringere il cuore.
Un pochino, nulla di esagerato: ma una piccola stretta c’è. C'impegneremo a tenerla a bada, sigillata dove nessuno la possa vedere.

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