Una calda giornata estiva
Ogni
tanto mi sento il bersaglio della sfiga: sono a prendere il sole in piscina,
sull’ora di pranzo. Calma piatta, sole a picco e clima accettabile, dopo l’inferno
degli ultimi giorni.
Di
colpo, si alza un turbine di vento improvviso, che si abbatte giusto giusto
dove siamo sedute la Miss e io. I materassini di gommapiuma, accatastati in un
angolo, prendono letteralmente il volo, mentre il mio ombrellone (l’unico delle
dozzine presenti a bordo vasca) si solleva, carambolando sulla mia testa. Lo
evito facendo civetta, mentre questo, rotolando lontano, semina i monconi del
bastone di sostegno, uno dei quali minaccia la mia gamba destra. Non so come,
riesco ad afferrarlo al volo: mi sfiora solo di striscio, macchindomi appena
appena la coscia di un liquido rugginoso, che per la maggior parte si rovescia
a terra, lordando tutta la zona circumvicina al mio lettino.
L’intero
episodio si consuma in meno di un minuto, nel preciso momento in cui il
personale si è momentaneamente allontanato dal posto di guardia.
La
Miss, un paio di nostri vicini di ombrellone ed io provvediamo a sistemare il
mezzo disastro, fino a che un’anima pia sopraggiunge, armata di secchio, e
sciacqua via le ultime tracce dell’accaduto.
Quando
lo racconto a Jurassico, questi commenta: “Non posso nemmeno lasciarti andare
in piscina. Riesci a farti male anche lì!”
In
effetti, ci vuole impegno a rischiare il trauma cranico stando immobili, stesi con un
quotidiano in mano.
Nel
pomeriggio, sono senz’auto, ma con molti impegn in zone opposte della città: nell’andirivieni
in bici, quasi mi disidrato. La scarsità d’acqua dà il colpo di grazia al mio
cervello: arrivata ai negozi vicino a casa, blocco il mio potente mezzo di
trasporto e vado a far la spesa.
Quando
faccio per prendere la chiave del lucchetto, scopro che è scomparsa: la cerco
ovunque, senza trovarla.
Su
consiglio del fruttivendolo, fine conoscitore della mente femminile, vado a
verificare se davvero l’abbia chiuso: scoprendo di averlo sì bloccato,
lasciando però la chiave nella toppa, a disposizione di chi, eventualmente,
avesse deciso di servirsene.
Vergognandomi
come una ladra, e ringraziando il cielo di non averne trovata una vera sulla
mia strada, recupero il velocipede, i miei quattro sacchetti e vado.
Con
le chiavi io non farò mai pace, è evidente.
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