L'ombelico del mondo
Sto
arrivando a detestarli. Quelli convinti di essere l’ombelico del mondo,
intendo: non li reggo più.
Sarà
che sto invecchiando, sarà che le mille ansie che popolano la mia esistenza di
madre, moglie, figlia, sorella e amica stanno raggiungendo il limite di guardia,
certo è che mi sono diventati intollerabili.
I
fanatici del ipercontrollo: quelli che sanno sempre cos’è meglio per te e
pertanto si sentono moralmente autorizzati a importelo. Ahimè.
Ogni
mezzo è lecito: si va da una suadente opera di convincimento alla manipolazione
franca, passando per il ricatto morale, affettivo ed economico. La capacità di
questa gente di sfruttare le debolezze degli altri è incomparabile: hanno sempre
una riserva di colpe di scorta, vere o presunte che siano, da estrarre quando
fa loro comodo. Abilissimi nell’utilizzo dei sensi di colpa a proprio favore,
se uno non ne ha, cercano di farglieli venire. E spesso ci riescono, purtroppo.
Se a comportarsi così sono dei genitori, poveri i loro figli. Figli contriti per colpe ricoperte dalla polvere degli anni, per storie antiche dissepolte
ad arte: colleziono storie di meriti misconosciuti e di pretese assurde millantate come diritti inalienabili.
Il
vittimismo di certa gente fa danni. Grossi danni.
I
figli non sono tutti perfetti: per quanto ci sforziamo di star loro vicino, a
volte si allontanano. A volte sbandano leggermente, per poi riprendersi, altre
deragliano, e diventa più difficile per loro rimettersi in marcia.
E
noi genitori che ci stiamo a fare? Siamo geneticamente programmati solo a
raccogliere allori? Mettiamo forse i figli al mondo perché realizzino i nostri
sogni, soddisfino le nostre aspettative, risolvano i nostri problemi o ci
ripaghino per le occasioni perdute?
Se
uno si riproduce con questa idea in testa, meglio lasciar perdere: condanna all’infelicità
se stesso e l’incolpevole creature che metterà al mondo.
Un
genitore è funzionale al figlio: deve esserci quando serve e saper sparire
quando la sua presenza diventa inutile. Deve lasciare libertà al figlio – libertà anche di
sbagliare – appoggiandolo quando, accortosi dell’errore, prova a rimediare.
Inutile colpevolizzarlo, anche quando le colpe ci sono: più che di un giudice
implacabile, un figlio ha bisogno di una persona più matura e più forte che
creda in lui, nonostante tutto. La punizione, oltre un certo limite di età, te
la commina la vita: se si vuole aiutare un figlio davvero, si deve andare oltre
se stessi e i propri sentimenti feriti, dandogli una seconda possibilità.
E
se un figlio questa seconda possibilità la sfrutta a dovere, arrivando a un
buon risultato, sarebbe utile esserne felici e orgogliosi: e farglielo pure
capire.
La
stima riguadagnata è una forza di propulsione molto più potente del senso di
colpa artificiosamente coltivato.
Invece,
osservo con dispetto che c’è chi vive voltato all’indietro, spalancando armadi
alla ricerca di scheletri ormai polverizzati, per trovare materiale con il
quale formulare accuse insensate. Se hai sbagliato una volta, con ‘sta gente,
sei condannato al sospetto a vita: il che permette loro di giustificare – soprattutto
con se stessi – la smania di interferenza che gli divora cuore e cervello.
Ipotizziamo
che tu non abbia proprio nulla di grave da rimproverarti: personaggi simili
troveranno qualcosa di turpe da attribuirti, facendo un bel processo alle
intenzioni, interpretando in modo malevolo ogni tuo comportamento, frase,
gesto. E il risultato sarà comunque lo stesso.
Attualmente,
osservo questi comportamenti e cerco di farne tesoro, per evitare di incappare
negli stessi errori. Non sono convinta, però, che le loro nefaste conseguenze
non arriveranno a lambire anche la mia vita e quella delle persone alle quali
voglio bene. E questo non è un pensiero confortante. Per nulla.
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