Foto di famiglia

Venerdì pomeriggio: Mpc e la Miss, assieme per un’oretta di shopping. Sguinzagliate in un negozietto di abitini low cost, molto molto carini però, siamo lanciate in battuta di caccia. La Miss prova una tunichetta a balze, rossa, che pochi esseri umani potrebbero indossare senza apparire la controfigura di un paralume. Si osserva critica allo specchio, mentre la commessa e mammina si abbandonano a una entusiastica standing ovation, decide Approvato! e fa per toglierselo. Da dietro la tenda, escono alcune esclamazioni soffocate, un silenzio preoccupante e un pigolio “Aiuto…”: la fanciulla non riesce a districarsi dalla trappola di stoffa. Impossibile sfilarsela senza una collaborazione esterna: eccola dunque saltellare dal suo camerino al mio, per farsi spogliare. Una volta in mutande e reggiseno, mi fissa costernata: “E adesso come ci arrivo ai miei vestiti?” si domanda. Butta l’occhio al di fuori del camerino: il negozio è deserto.
“Insomma, le commesse sono tutte donne… Potrei fare un balzo e passare di là”
Muta, le indico la vetrina attraverso la quale l’intero parcheggio avrebbe modo di deliziarsi alla vista delle sue grazie.
“Oooops… Non ci avevo pensato! E allora…?”
“Vado io. Tanto sono vestita!” risolvo io, eseguendo un rapido passaggio e restituendole i suoi abiti. Rivestite come si deve, usciamo dal negozio e andiamo assieme a far la spesa, chiacchierando fitto fitto con aria soddisfatta. Il nostro bottino ci soddisfa. Non c'è che dire: la complicità che si crea tra due donne, in momenti come questi, non ha prezzo.

Sabato pomeriggio: reduce dalla devastante esperienza della cena sociale della sera precedente, la Miss vaga per casa, intercettando una mezza conversazione telefonica tra me e suo padre.
“Mamma, tu e papà uscite, stasera?”
“Boh! Non mi pare sia molto dell’umore…”
“Potresti insistere, però. Se uscite vengo con voi: andiamo dove vi siete sposati? Lì è così bello e si mangia talmente bene…”
La ragazza ha ragione. Tra l’altro lì siamo di casa sul serio: quindici giorni fa, con MammaMatta, eravamo arrivati lì a pranzo. I proprietari stavano preparando per un matrimonio: il locale era chiuso e avevano appena mandato via una coppia di avventori. Appena hanno visto noi, invece, si sono attrezzati con pane, companatico, vino e un paio di piatti freddi e… per noi il pranzo l’hanno combinato. Quando si dice l’amore!
Di fronte all’occhione languido della Miss, mi squaglio e chiamo subito papà: il quale reagisce di conseguenza e mi ingiunge di chiamare per prenotare: “Che non ci sia un matrimonio anche stasera…”
Eseguo: al rientro dall’ospedale, papà trova Mpc e Miss agghindate con i vestiti appena comprati, e un filosofo che si sta cucinando due bistecche sulla piastra.
“Scusa” gli diciamo “Non esci con gli amici, stasera?”
“No, non abbiamo organizzato nulla…”
“Bene. Lascia perdere il petto di pollo e vieni con noi!”
L'uomo sorride felice e si aggrega alla compagnia.
Ne nasce una serata stupenda: clima magnifico, brezza leggera – tipica della Pedemontana – panorama sublime e cibo superlativo. Il nostro tavolo preferito, sotto il porticato avvolto dalle piante rampicanti, un micio in giardino che balza qui e là, a caccia di insetti: abbiamo persiono il lume di candela.
L’atmosfera distesa, le chiacchiere affettuose, i progetti per il futuro e le coccole del presente: “No, no, prendi tu…” Facciamo tutti a gara per lasciare il boccone migliore al nostro vicino.
Jurassico ed io, al di sopra dei bicchieri, ci scocchiamo occhiate tenere e orgogliose per nostri bellissimi – e bravissimi – figli.
A volte è così dura, mandare avanti la carretta: ma momenti come questi ti forniscono la propulsione per affrontare mesi di problemi. Ha ragione Terry: i figli sono la più grande scocciatura immaginabile. Sono una schiavitù a vita, una preoccupazione continua, un assillo mai sopito. Ma sono anche la gioia più grande che la vita ti possa regalare.

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