Cena sociale
Convinta
dalla Miss, mi sono fatta invischiare nella cena sociale della nostra
palestra, coinvolgendo nell'iniziativa anche una delle mie più care
amiche. Purtroppo per lei.
Prima difficoltà: scovare il locale. Mimetizzato tra casette a schiera perse tra i campi di mais, era quasi introvabile. Raggiunto in qualche modo ‘sto
posto, non siamo stati subito ammessi al suo interno: disposti tutti in cerchio
come un gruppo di auto-aiuto, sorridendoci l’un l’altro con malcelato
imbarazzo, ci hanno tenuti in piedi più di un'ora in giardino, senza
nemmeno un grissino o un prosecchino di primo conforto.
In
seguito, siamo stati sospinti in massa nella sala a noi riservata, una stanza
scavata nel sottosuolo: ottanta persone, senza ricambio d’aria né impianto di condizionamento.
Ben presto, eravamo più madidi delle bottiglie d’acqua sui tavoli.
E qui è iniziata la più estenuante maratona alimentare mai provata nella
vita: tra le dieci e le due di notte (!) si sono susseguite una portata ogni
mezz’ora, accomunate tutte dall’assenza di sapore, la cottura sbagliata e la
qualità pessima. Una pena infinita, nel senso letterale del termine.
Non
m’avesse dato una frustata lo sgroppino - gusto: Svelto al limone
verde - sarei caduta addormentata con la
testa nella crema.
Se, dunque, la qualità del cibo lasciava a desiderare, contavo sulla buona compagnia per la buona riuscita della serata. Non ci è andata bene nemmeno su quel fronte, ahinoi.
L'unico essere umano di genere maschile – staff escluso – presente alla serata
si era accozzato a noi: e mal ce ne incolse. Per capire il tipo, dirò solo che, secondo i suoi
racconti, i suoi compagni di corso son persone prive di fantasia:
difatti, l’hanno segnalato in reception come persona indesiderata, per le sue
goliardate durante la lezione in vasca. A detta dell’interessato, hanno minacciato di non iscriversi più, qualora non sia ridotto al
silenzio. Situazione che, a giudicare dal suo comportamento a cena, non gli ha
insegnato nulla circa il bon ton e l’autodisciplina: posti gli occhi sulla mia
amica, non l’ha mollata per tutta la sera. Le lunghissime pause tra un piatto e
l’altro gli hanno offerto il destro di far sfoggio di personalità: forte della
sua competenza in fatto di calzature femminili (possiede un banchetto col quale
batte tutti i mercati della zona) ha condotto un’interessante conversazione su
argomenti elevati (ovvero: tutto quello che avresti voluto sapere sui plateau e
non hai mai osato chiedere) e pure hot (qual è la temperatura più indicata per
stirare le camicie? Quale, invece, l’attrezzo più indicato: il ferro a secco,
quello a vapore o la pressa semiprofessionale?).
Ci stava conducendo tutte al suicidio in diretta: ci ha salvato il colpo di teatro
organizzato dallo chef. Intorno all’una di notte le luci si sono spente una dopo l’altra, creando un ambiente mooolto dark. Qualcuno,
ormai obnubilato dal cibo pessimo e dal vino tossico – ben mi son guardata dal
berlo, ma ne ho fiutato a distanza i vapori venefici – ha perso l'orientamento, partendo di scatto con
il battimano e la canzoncina “Tanti auguri a teeeee…”. Le cameriere non capivano più nemmeno dov'erano, mentre avanzavano nel buio
reggendo degli enormi vassoi, dai quali si levava, incerta, la fiammella di
alcune candele. Credo volesse essere un effetto speciale: di speciale c’è stato
solo il fatto che, dopo aver servito la tagliata, i camerieri si son persi gl’interruttori. Nel
tentativo di riaccendere le luci, hanno creato un effetto psichedelico on-off,
protrattosi per un quarto d’ora buono. Lo chef fantasista, intanto, era riuscito a
sbagliare persino la grigliata: un’erba di ignota natura, ma di un amaro
abominevole, accompagnava la carne più grassa e coriacea della storia della
ristorazione italiana.
Ridotte
in fin di vita, la Miss ed io siamo fuggite all’aperto, alla ricerca di un po’
di refrigerio: uscite dal recinto del locale, ci siamo sedute sui gradini dell’ingresso,
aspirando avidamente l’aria fresca della notte. Qui un vecchietto ci è quasi
caduto addosso, precipitando dai suddetti gradini. E’ bastato un breve commento
sulla pericolosità di uno step siffatto, specie dopo un bicchiere in più, per
scatenare l’inferno: ci siamo beccate l’intera storia della vita sua e quella
del suo migliore amico, etilista segnalato alle autorità. Non ci sono
stati risparmiati ampi chiarimenti sui
disinvolti costumi sessuali della ex moglie del narratore, né sulle abitudini igieniche dell’amico, oltre ai dettagli circa la triste sorte dei chili
d’oro conservati in casa sua – ci parlava un orafo in pensione, per la cronaca - involatisi
assieme alla fedifraga. L’intero racconto condensato in un quarto d’ora di
soliloquio a macchinetta, in linguaggio semisconosciuto: io e mia figlia ci
sentivamo come dentro a un film. Dell’orrore.
Va
da sé che, quando siamo riuscite finalmente a scappare, il sospiro di
sollievo nosto e della nostra amica ha sollevato un tornado. E una cosa è certa: cene sociali, mai più
nella vita. Nei secoli dei secoli.
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