La verità brucia
Oggi,
tempo pessimo. La cosa è grave, perché il cielo bigio si riflette sul mio umore,
rendendolo pericolosamente filosofico. Mi duole per voi, ma il blog sarà
intossicato dai risultati delle mie elucubrazioni plumbee.
Tema
del giorno, la verità: dirla, non dirla, talvolta subirla. Parliamone.
Sono
un’amante della verità. L’amo almeno quanto adoro la libertà.
Ovvio
che, volendo coltivare simili frequentazioni, sei tenuto al rispetto:
pretendendo di mantenere intatta la tua libertà, devi considerare inviolabile
quella altrui.
Sport
faticoso, quest’ultimo: specie quando ti accorgi di quanto gli altri ne
facciano un uso scellerato. Molto più facile sarebbe obbligarli, in nome del
loro bene, a fare scelte diverse: ma non si può. No, che non si può.
Il
rispetto della verità, poi, è un autentico cimento: niente verità addomesticate
per giustificare i propri errori, niente rivisitazioni della storia per
nascondere le nostre figure meschine (anche e soprattutto a noi stessi),
vietato riportare affermazioni altrui usando la grammatica come un oggetto
contundente. Esistono personaggi capaci di consumare delitti, semplicemente aggiungendo
un articolo, sopprimendo una preposizione, accostando un aggettivo di troppo.
Maestri, costoro, nel cambiare le parole in bocca al prossimo: ne ho beccati
parecchi, nel corso degli anni. Ormai li riconosco a fiuto.
Due
parole, ora, sulla decontestualizzazione: una frase pronunciata in una determinata
circostanza, in risposta spesso a una provocazione specifica, se riferita da
sola acquisisce un retrogusto amaro che in origine non c’era. Ogni cosa che
dici potrà essere usata contro di te: se la slealtà fosse un reato, le patrie
galere esploderebbero.
In
conclusione: non mi piace lo sport di chi cambia le carte in tavola per
dimostrare di avere sempre e comunque ragione. Oppure per evitare di ammettere
di dover qualcosa a qualcuno: l’ingratitudine è un sentimento più diffuso della
gramigna.
Va
da sé che rimango di questa opinione anche se le carte sono a mio sfavore: sarà
per quello che non faccio nessuna fatica ad assumermi le mie responsabilità, a
dire grazie, a chiedere scusa o cercare un rimedio, quando mi accorgo di aver
combinato un guaio.
Solo
che la mia abitudine di dire sempre le cose come stanno mette un sacco di gente
in difficoltà: specie quelli che hanno con me qualche conto in sospeso e
vorrebbero praticare a se stessi uno sconticino a piè di lista. Credo la
sincerità non sia considerata un valore, da tutti costoro.
Detto
tutto ciò, vi racconto che cosa ha scatenato queste mie riflessioni mattutine.
Un
paio di giorni fa stavo partendo per una spedizione in bicicletta: già bardata
con pantaloncini imbottiti e maglietta sportiva, vengo convocata in ospedale
dal consorte, uscito di casa senza qualcosa di fondamentale. Nonostante l’abbigliamento
improbabile, esco così come sto: il tempo val più dell’immagine, mi dico.
Rapida
come un gatto, mi confondo tra la folla, raggiungo gli ascensori, porto il
necessario all’amato e sgattaiolo via, felpata come un ninjia.
Giunta
a pochi passi dal mio velocipede, respiro di sollievo, credo di essere fuori
pericolo: non ho incrociato nessun conoscente, per fortuna. Combinata così sono
un incubo.
“Dottoressa!!!
Buongiorno!”
Eccolo
lì, il saluto cordiale che mi sbriciola il cuore.
Dietro
di me, si materializza una signora: una donna, a onor del vero, considerata un
flagello dall’intera opinione pubblica locale. Costei nutre una vera passione
per me: credo di avervi raccontato come, in pieno centro, una volta mi abbia
aggiustato una sculacciatina sul lato B.
Labo
B che, anche in quest’occasione, attira la sua attenzione: “Dottoressa, che
succede? E’ ingrassata?” chiede, con aria critica.
“Sì,
ahimè. Devo perdere cinque chili: anzi, sto appunto andando a macinare una
cinquantina di chilometri in bici, per bruciare un po’ di calorie…” rispondo, cercando
di controllare l’istinto di fuga che mi ha preso. Per varie ragioni,
aggiungerei.
“Benissimo.
Fa benissimo: li deve proprio perdere, sa? Mi raccomando!” infierisce la
nostra.
Ha
ragione.
Mannaggia,
ha ragione e lo so: sono la prima a dirmelo, ogni mattina, quando mi alzo
carica di buoni propositi, e ogni sera, quando mi corico dopo numerose,
esiziali trasgressioni. Però sentirselo dire così, papale papale, è stato un
colpo al mio amor proprio.
Lo
devo riconoscere: ci sono verità che fanno male anche a me. Confesso che avrei
preferito un educato silenzio, per una volta, invece della cruda realtà.
E
dopo questa imbarazzante ammissione, mi metto le scarpe e vado a camminare per
un paio d’ore. Chissà che non si metta a diluviare e che riesca a smaltire
almeno un etto, dei cinquanta che mi rimangono da eliminare.
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