Tutto la sua mammigna

Venerdì sera: dopo tredici giorni di lavoro ininterrotto, Jurassico si sta godendo le sue prime ore di relax. Tanto per fare un giretto, saliamo a bordo dello squalo e arriviamo sino a Valdobbiadene, per rimpinguare le nostre scorte di prosecco. Mentre sorseggio l’assaggio di bollicine gentilmente offerto dalla casa, un’amica mi spedisce il seguente messaggio: “A che ora ti aspetto?”
“Prego? Abbiamo un appuntamento, noi due…?” è la mia perplessa risposta.
Segue telefonata sbalordita della mia amica, la quale ricorda con precisione una conversazione tra noi, conclusasi con un rendez-vous, giustappunto, per stasera.
Una conversazione della quale nella mia memoria non rimane traccia alcuna: nulla, nemmeno la più piccola ombra. Cancellata completamente.
Con paziente generosità, la nostra m’invita a raggiungerla in compagnia dell’amato bene, il quale nel frattempo ha preso a dileggiarmi crudelmente. Non tanto crudelmente, tuttavia, da impedirmi di ottemperare ai miei impegni, e senza aggiungersi all’allegra brigata: l’uomo è cotto e altro non spera che di buttarsi lungo disteso sul divano, dove prenderà a russare sei secondi dopo aver assunto la posizione orizzontale.
Grazie al cielo, L. mi conosce abbastanza da sopportare le mie amnesie senza offendersi: al contrario, ne ride con me. E’ bello trascorrere con lei due ore in relax, ed è fantastico scoprire che le cose, finalmente, hanno iniziato ad andarle davvero per il verso giusto. Sono così felice per lei che mi commuovo: quando si sono visti tanti momenti bui assieme, quando ci si è confortate reciprocamente tra le lacrime, è bellissimo leggere di nuovo la serenità negli occhi di un’amica. Nulla mi scalda il cuore quanto la felicità di coloro che amo: la loro gioia getta una luce anche nel cono d’ombra dei miei numerosi problemi. Che mi sembrano meno pesanti, se vedo il sorriso su un viso che amo.
Verso mezzanotte, faccio ritorno alla Stamberga: dove trovo la famiglia profondamente addormentata, fatta eccezione per l’informatico. Costui si aggira torvo per le stanze buie e vuote, manifestamente oppresso da qualche ambascia.
Appena mi vede, mi domanda: “Mamma, abbiamo una lettiera di sabbia silicea?”
“Sì, è in terrazza.”
“Ma è usata?”
“Sì, poco però. E’ ancora utilizzabile. Perché vuoi la lettiera? Uno dei gatti sta male?” mi preoccupo subito.
“No. E’ per il mio cellulare.” Mi risponde lui, asciutto.
“E da quando i cellulari hanno bisogno della lettiera…?” trasecolo io. Un’esigenza simile non l’avrei sospettata neppure tra un milione di anni.
“Disidratante. Ho bisogno di assorbire l’acqua da qui…” mi risponde, cupo come un temporale, il nostro, tendendomi un telefono dallo schermo…ondoso. Pare un salvaschermo a effetto, solo che non è un effetto ottico. E’ proprio acqua!
“Ma questo è…?” titubo io, colta da un dubbio atroce.
“Sì, è lui. Il mio telefono nuovo.” Stavolta il tono è funebre.
“Ohimamma, quello che non ti arrivava mai, perché lo avevano consegnato ai vicini…?” Ormai ho la costernazione nella voce.
L’episodio del cellulare misteriosamente scomparso, ma ufficialmente già consegnato presso la Stamberga, aveva tenuto banco a Casa per Caso per diversi giorni: e risale a pochi giorni fa. In altre parole, è un telefono nuovo di palla : come può essere conciato in quel modo?
Una domanda che rivolgo allo sfortunato proprietario.
Il quale sospira profondamente, per poi spiegarmi, tetro: “Sono entrato in bagno, al buio. Qualcuno aveva spostato il tappetino e io me lo sono trovato tra i piedi: sono inciampato, il telefono mi è sfuggito dalle mani e... PLOFF! Dritto nel water…”
Lascio a voi ogni commento.
Io mi limito ad osservare che, qualche volta, 'sto ragazzo pare mio figlio per davvero.

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