Erode mon amour

Forse sto diventando vecchia, oppure sono solo stanca, però davvero non li sopporto più. I bambini, intendo.
A dispetto di tutte le statistiche (crescita demografica zero, meno di un figlio per famiglia e via così, di lamentazione in giaculatoria) i minori sono diffusi come la gramigna: li trovo dappertutto. Soprattutto dove non vorrei.
Sono talmente invadenti, chiassosi e irritanti da ritrovarmi sempre più spesso a sognare un mondo child-free. Il che, detto da me – multi madre convinta e mai pentita, nonostante tutto –  suona incoerente, oltre che politically incorrect.
Eppure…
Facciamo alcuni esempi.
Sono al ristorante cinese, assieme al marito e una coppia di amici.  Costoro sono corredati di una bambinetta sui sette anni, che però ne dimostra ventotto: seduta composta a tavola, sceglie cosa mangiare con un cenno, mentre rifiuta con un sorriso ciò che la insospettisce. Trattandosi di cibo orientale, le possiamo concedere un po’ di diffidenza, scacciata solo dalle nuvole di drago. Non c’è quasi nulla che le piace? Mangia quel poco che le va, senza dare segni di impazienza.
Tutto ciò per dire che è possibile essere bambini, senza per questo triturare i cabasisi all’universo mondo.
E’ sabato sera, abbastanza presto: il locale è ancora semivuoto, immerso in un salutare silenzio. Candele accese sui tavoli, qualche giovane coppia che cena bisbigliando, due o tre tavolate di amiche in vena di convivialità senza eccessi. Tutto tranquillo, insomma.
Terminiamo la nostra cena senza incidenti e giunge il momento di accostarci alla cassa: mentre siamo in attesa del nostro turno per pagare, qualcuno mi colpisce con violenza la chiappa destra. Mi volto, e vedo un giovanissimo ariano – capello biondo, occhio ceruleo, aria assassina – che si appresta a caricarmi di nuovo. Il giovanotto ha preso di mira il mio lato B: forse non ci vede bene, ed è quello nei dintorni che si faceva notare di più,  per ragioni dimensionali. Il che, oltre a seccarmi, mi offende. Comunque sia, costui sta usando una poltrona con le ruote a guisa di ariete: arretra di un paio di metri, punta a terra le zampe stile toro, per poi lanciarsi dritto contro l’obbiettivo. Il mio fondoschiena.
Il tutto, naturalmente, senza che l’ombra di un genitore si palesi all’orizzonte: missing in action, quelli. Un cane sciolto, il piccino, e pure messo in condizioni di far danni: chissà dove si è procurato il mezzo d’attacco.
Approfittando di tale assenza strategica, metto in atto la mia, di strategia: con un piede blocco le ruote del caterpillar, fissando nel contempo con occhio minaccioso il biondino.
A mezza voce e ringhio intero gli lascio intendere le mie intenzioni bellicose, qualora osi avvicinarsi di nuovo a me, oppure a uno qualsiasi di noi. Capito che non c’è trippa per gatti, il nostro si allontana, sempre su quattro ruote, presumibilmente per trovare altre vittime. Quanto ai genitori, non sapremo mai chi siano. Come siano, tuttavia, ce lo possiamo figurare senza difficoltà.
Caso due: il supermercato. Dopo una lezione di acquagym in grado di stroncare un delfino, mi sto trascinando tra le corsie del super, per fare la spesa più rapida del secolo. Non vedo l’ora di tornare a casa: è stata una giornata pesante. In vari sensi.
A tre corsie di distanza, scatta una sirena d’allarme: è una bambina. Avrà quattro o cinque anni, e ha deciso di incentivare la madre all’acquisto di uno degli articoli esposti.  La scena si ripete con un ritmo ossessivo: uno può localizzare il gruppo (composto da due donne e due bambine) basandosi sulla provenienza dei muggiti, righi e belati. Pure poliglotta, la bestia.
Il plateau lo raggiunge in cassa: associata alla sorella maggiore, saccheggia la sezione libri per bambini, avviando un’opera di consultazione globale sul pavimento del negozio, strofinando con cura le copertine sul marmo. A tratti si alza, agitando ogni volta un libretto diverso, e sbraitando per averlo: indifferenti come due sfingi, madre e zia si limitano a sospirare: “Beatrice, Lucrezia, venite che adesso andiamo…” mentre le due insistono nell’opera di devastazione. Alla fine, risulta necessario trascinarle via prendendole per un braccio, mentre l’una protesta e l’altra si dibatte come un pesce nella rete. Urlando, tuttavia: diversamente dai pesci.
Alla mia occhiata comburente,  la cassiera sospira, confidandomi: “Signora, la settimana scorsa un bambino si è mangiato un ovetto Kinder, mentre la madre era in coda. Bene, costei mi ha messo in mano la carta impiastricciata, esclamando: - Ma io questo non lo volevo!  Adesso non lo pago: siete voi che non li dovete mettere vicino alla cassa! – Non le descrivo la discussione che ne è seguita… “
Alla faccia dell’assunzione delle proprie responsabilità: se mio figlio pecca, è colpa delle tentazioni. E il conto lo devono saldare gli altri.  
Dunque, il problema esiste. E se una mia carissima amica ha ricevuto dei pasticcini in omaggio, in una elegantissima sala da the, solo perché la sua bambina di quattro anni è rimasta educatamente seduta e ha consumato tranquilla la sua merenda, a quanto pare è un problema trasversale. Si dirama ubiquitario, in qualsiasi ambiente e interessa tutti gli strati sociali.
Invoco un pacchetto di leggi a tutela dei genitori responsabili, che viceversa penalizzi quelli latitanti. Se entrasse in vigore una legislazione del genere, in aggiunta a un potenziamento di asili, materne e doposcuola vari, si risolverebbe anche il problema demografico di cui si dibatteva poc’anzi. Con netto miglioramento della qualità dei prodotti del concepimento, tra l’altro.
In attesa di tali misure, io costruisco altari votivi a Sant’Erode. E perdonatemi se lo dichiaro a voce alta.

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