Problemi e relative soluzioni
Ieri,
ora di pranzo: Jurassico è a casa, in ferie, la zia sta benino (ha acquisito un
po’ di autonomia: alzarsi da una poltrona, vestirsi da sola. Piccole, grandi
conquiste che le stanno restituendo la fiducia in se stessa), Mpc è impegnata
nella settimanale produzione di focaccine. Tutto normale, all’apparenza.
All’una
e venti, suona il campanello: è la nonna, giunta a recuperare il gaglioffo,
come accade ogni lunedì. Peccato che del nostro non vi sia traccia alcuna.
Dopo
circa dieci minuti di attesa, scatta l’allarme: chiamiamo il giovanotto sul suo
cellulare, per capire che ne è di lui. Di norma, è un ragazzo puntuale.
Il
telefono squilla, ma il trillo rimane senza risposta: proviamo più e più volte,
senza esito. I minuti corrono, e pure la mia fantasia, purtroppo. Sono
patologicamente ansiosa, quando si tratta dei miei familiari.
Jurassico
balza in auto e si precipita a scuola a cercarlo: nel frattempo, la nonna è
tornata a casa, a torcersi le mani per l’angoscia, mentre zia e fratelli sono
in fibrillazione.
Quando
l’agitazione è al culmine, il protagonista piomba in mezzo a noi: scalmanato,
senza fiato e con i calzoni imbrattati, riempie di colpo la casa con i suoi
latrati.
Gli
attimi successivi vanno spesi in telefonate, atte a calmare parenti e
congiunti: mentre Jurassico torna alla base, io interrogo l’infame. Deve
spiegare sia il ritardo, sia la mancata risposta al telefonino.
Ritardo:
è stato ingaggiato da compagni di
scuola e amici. Non lontano dalla Stamberga, si è formato un crocchio di
studentame, proveniente da scuole diverse, riunitosi per salutare lui. Va da sé
che il nostro non poteva deluderli, né coprirsi di ridicolo affermando: “Scusate,
devo andare: la nonna mi aspetta!”
Peccato
che lo sciagurato sia in bolletta nera da settimane: non si può permettere
nemmeno dieci euro di ricarica. Così, non può avvisare del ritardo via sms.
Peggio: a causa di un diabolico meccanismo di promozioni ad addebito
automatico, è andato sottozero col credito. Ecco perché non può nemmeno
rispondere al telefono: se sei in debito con il gestore, questi ti impedisce l’utilizzo
del telefonino, anche in ricezione.
E
così fa venire un coccolone a noi, che ci immaginiamo chissà quali tragedie dietro
al suo silenzio radio.
“Figlio
degenere, io ti ammazzo!!!” lo minaccio, furibonda.
“Lascia
andare, mamma. A quello ci penso da solo.”
“???”
“Oggi
non vado a tennis. Sto troppo male.”
“Che
hai, adesso?”
“Guarda
qui!” dice, mostrandomi un’escrescenza rossa, tipo corno, che gli sboccia sulla
destra della fronte “Poi mi fa male quando respiro…”
Qui
fa la sua comparsa papà, più rabbioso di me: lo fermo prima che attacchi il
colpevole, per permettere a quest’ultimo di dettagliare l’accaduto.
Scopriamo
così che l’imbranato, diretto a scuola in sella alla sua bici, ha incontrato
sulla sua strada tre camion fermi sul ciglio. Lavori in corso.
Nell’atto
di evitare il primo, con una schinca, il giovane si rende conto di avere la
visione laterale azzerata: cappuccio della felpa tirato su, come i rapper del
Bronx. No comment.
Decide
di toglierselo di lì: solo che lo fa levando entrambe le mani dal manubrio.
Eccolo dunque che perde il controllo del mezzo, si schianta contro il sedere
del pachiderma, picchiando la testa sulle lamiere, mentre il manubrio gli si
pianta nello sterno, per finire poi sbalzato di sella. Come una pallina,
rimbalza sul selciato, riempiendosi di botte dappertutto.
E
dopo questa bella prova di abilità, che fa, il tonto? Torna forse a casa,
oppure prosegue fino al vicino Pronto Soccorso?
Non
sia mai. La sua unica preoccupazione sono i suoi calzoni: andrà via la macchia?
O avrà rovinato i suoi jeans preferiti?
Assillato
da questo tragico dubbio, inforca nuovamente la due ruote, e si reca
normalmente a scuola. Dove il mal di testa e i dolori alla gabbia toracica lo
tormenteranno per l’intera mattina.
Alla
visita prontamente eseguita da papà non risulta nulla di rotto: tuttavia,
stanotte il nostro eroe ha dormito appena tre ore, si è svegliato indolenzito e
intontito, con dolori diffusi in tutto il corpo. E’ pieno di lividi e sembra un
unicorno malriuscito.
Alle
sette, dopo averlo guardato in faccia, l’ho rispedito a letto. Troppo malconcio
per andare a scuola: soprattutto per via dei compagni. I quali, per
significargli simpatia e solidarietà, non mancherebbero di sganciargli potenti manate
sulle spalle, oppure una gragnola di pugni amichevoli. Dimostrazioni affettive,
oggi, in grado di mandarlo al Creatore. Meglio evitare.
Ecco
qui: fino a ieri mi chiedevo quale fosse la soluzione, per i problemi di mio
figlio. E lui me ne escogita una: finale. L’auto-sterminio.
Come
potrò mai sopravvivere a tutto questo?
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