L'amore dannoso
Ci caschiamo quasi tutti, prima o poi. Forse perché vedere in casa
degli altri certi giovani virgulti, in possente crescita, nutre le nostre
illusioni; o forse perché, in fondo, è bello vedersene circondati.
A meno che non c’entrino il senso del dovere e i condizionamenti cui
siamo sottoposti, specialmente noi femmine: poiché da loro dipende il futuro
del pianeta, vorremmo dare il nostro contributo.
E così, lo facciamo.
Compiendo una scelta di campo che non prevede retromarce: non sono
loro che hanno chiesto di venire al mondo, né tantomeno di crescere proprio
sotto il nostro tetto.
Ci assumiamo così la responsabilità della loro sopravvivenza, della
loro crescita, del loro benessere. Anche se ne siamo consapevoli: non conta
solo ciò che facciamo noi. Anche le condizioni ambientali hanno il loro peso e
possono determinare il naufragio di ogni nostro progetto.
Inguaribili ottimisti, ci lanciamo nell’impresa: confidando nella
buona sorte, se non nelle nostre dubbie capacità. Nel mio caso, la fortuna è l’unica
speranza: la catena dei miei fallimenti parla chiaro. La sottoscritta non è
attrezzata per riuscire.
Eppure, non demordo…
Ed eccomi qui, di fronte all’ennesimo fallimento. L’ennesimo futuro
compromesso per sempre, l’ennesima creatura che soccombe alla mia colpevole distrazione,
alternata a cure eccessive e ad attenzioni esagerate.
La piantassi di occuparmene, probabilmente avrebbero vita
migliore.
Qualcuno mi dovrebbe fermare: sto facendo più danni di una catastrofe
ambientale. Altro, che contributo al
futuro del pianeta!
Un’altra pianta da appartamento non è sopravvissuta al mio tentativo
di crescerla al piano inferiore della Stamberga: minata dalla scarsità di
luce e da quella di acqua (mi avevano detto che amava la penombra e il terreno
asciutto), ho finito di finirla annaffiandola troppo, nell’ultima fase della sua
misera esistenza.
La poveretta è prima impallidita; poi si è seccata alla sommità, per
crollare di netto oggi, stroncata alla base. Mi sa che, dopo averla
disidratata, ho fatto marcire anche questa.
Da oggi in poi, prometto: le piante che avranno la sventura di
capitarmi in mano, saranno posizionate al piano superiore, in veranda o in
ingresso. E lì le lascerò, scordandomi della loro esistenza: così, avrò la
certezza che cresceranno rigogliose. Lontano da occhi indiscreti, ovvio: nella
zona della casa dove non viene mai nessuno, sto coltivando un bosco. Ho due
ficus addirittura lussureggianti. Al piano inferiore, dove accolgo amici,
ospiti e conoscenti in visita, mi vengono su al massimo quattro vegetali
macilenti: quasi degli zombi.
Da domani, in salotto, piante finte. E’ l’unica!
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