Sono un disastro

Tanto imbranata da sembrare finta, distratta al punto da sorprendere persino me stessa. E dire che mi frequento da sempre.
Un solo giorno, ben tre episodi: come sopravvivrò a me stessa?
Contrariamente al vino, l’invecchiamento non mi sta migliorando. Anzi: qui mi sa che finirò in aceto.
Caso uno: la tessera della piscina.
Missing da giorni. L’ultimo ricordo che ne ho è l’utilizzo giovedì della scorsa settimana: dopo di ciò, il nulla. Scomparsa dalla borsina dove la tengo sempre, non è riapparsa da nessun altra parte. Ho rivoltato la casa e l’auto, nella sua inutile ricerca: intanto, in piscina mi facevano passare lo stesso, scuotendo la testa alle mie spalle.
Della serie: facciamoci riconoscere. Dovunque, if possible.
Quando ormai avevo deciso di chiederne la sostituzione, qualcosa ha attratto il mio sguardo: la tessera. Incastrata tra il sedile e la guarnizione di plastica che lo tiene in sede, ha lottato strenuamente per opporsi al recupero. Pareva Corradino quando cerco di tirarlo fuori da sotto il letto. Alla fine sono riuscita a estrarla: mi sono scorticata le dita, ma l’ho recuperata. Come sia riuscita a farla finire lì, rimarrà un mistero anche per me. Mi capita con impressionante frequenza di combinare disastri che io stessa non sarei in grado di riprodurre.
Caso due: il colpo mortale. O quasi.
Uscita dalla piscina, ho cacciato la borsa in bagagliaio, richiudendolo con un colpo secco. Peccato averci dimenticato dentro un dito: come una ghigliottina, il cofano è piombato sulla mia mano, strappandomi un urlo soffocato. La vergogna era più forte ancora della sofferenza: almeno, ho cercato di non attirare gente.
Sono seguiti dieci minuti d’inferno: un dolore tanto violento da farmi pensare di essermi sbriciolata la falange. In realtà, niente di rotto: ciò che resta, dell’episodio, è un dito violaceo e la mia dignità a pezzi. Come si fa a essere tanto impedite da chiudersi le mani in bagagliaio? Dov’ero, quando hanno distribuito la coordinazione nei movimenti? Chiusa in bagno?
Domande, anche queste, destinate a rimanere senza risposta. Meglio non raccontare nulla a Jurassico, altrimenti si arrabbia con me: dice che non sopporta di vedermi sempre piena di lividi. Da uomo pragmatico qual è, non si capacita che sia così disattenta.
Caso tre: la mela.
Ebbene sì: con la sottoscritta, anche una mela può diventare un oggetto pericoloso. Attirata dal frutto tentatore, me ne sono impadronita, dandogli la rituale sciacquata sotto il rubinetto: nell’atto di asciugarla (per evitare mi sgocciolasse sulla tastiera del PC, demolendolo) sono riuscita a esibirmi in uno dei miei numeri da giocoliere. Tanto ho fatto, da riuscire a tirarmela in faccia: centrandomi secco il naso. Del resto, una che, cercando di mangiarla, ha fatto partire una fetta di salame come un freesbie (sotto gli occhi attoniti dei suoi figli bambini) può fare questo e altro.
Però, mannaggia, non è possibile. Esisterà pure un modo di mettermi in sicurezza.
Forse devo chiedere a mio marito misure farmacologiche di controllo: anche se temo che l’unica terapia veramente efficace sarebbe tenermi sotto curaro. Permanentemente.

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