Non ci sono tagliata
Ragazzi, qui bisogna diventare donne di mondo. Fra
uscite serali, al braccio di Jurassico, e presentazioni pubbliche da
organizzare, qui la vostra Mpc è costretta a uscire dal guscio.
Bella roba: come chiedere a Maga Magò di trasformarsi
in Jessica Rabbit. Rivolgersi all’ufficio miracoli, please.
Finché si tratta di ticchettare su una tastiera,
lanciando messaggi in bottiglia tra le onde del web, ancora me la cavo. Comunque
sia conciata, va bene lo stesso: il post ve lo leggete anche se chi l’ha
battuto ha una ricrescita da procione, l’occhio da triglia ed è vestita come
uno spaventapasseri.
Ma qui non basta più. Gli impegni si stanno facendo
numerosi, ricorrenti e persino di un certo livello. Non ci stiamo facendo
mancare nulla: e in determinate situazioni, jeans e maglietta non sono la mise più
adeguata.
Ieri sera, per esempio.
Il filosofo, notandomi vestita e pettinata come un
essere umano normale alle otto di sera (ora nella quale di norma
inizia la mia trasformazione in uno zombi) mi ha chiesto, stupito: “Dove vai, che sei così bella?”
“A cena con papà e alcuni suoi amici e colleghi…” ho bofonchiato,
con la testa dentro l’armadio. Stavo cercando una borsetta potabile per la
serata: e quella adeguata era rimasta travolta da una colata di lenzuola
pulite. Per metterla in salvo, ho dovuto inerpicarmi, già assisa sui tacchi, su
di una scaletta. Diversamente, la colata sarebbe finita in testa a me.
“Di nuovo? Come siete girovaghi, ultimamente, tu e
papà!” mi ha stuzzicata, con un sorrisetto malizioso.
Riesumato l’agognato articolo di pelletteria, sono
tornata da lui, domandandogli il placet; osservandomi con occhio critico, ha
commentato: “Mhm, carina. Sei anche coordinata!”
La sorpresa che venava la sua voce mi ha suscitato un
lieve senso di colpa. Forse dovrei riassestare un po’ il mio look quotidiano.
Il mio aspetto, abito a parte, era il risultato di una
mattina devoluta a farmi restaurare le ciocche dalla parrucchiera. Con l’occasione,
mi ero cacciata due auricolari nei padiglioni, stile teenager isolazionista:
tra le mille cose cui devo pensare, in questo periodo, si è aggiunto anche l’audiolibro,
da ascoltare e approvare a stretto giro di posta. Elettronica.
Ho fatto così di necessità (interminabili tempi di
posa colore) virtù (espletamento delle mie funzioni di autore in corso di pubblicazione).
E sempre in funzione di autore, appena sveglia (e
ancora in versione maga Magò) ero stata convocata per l’assemblaggio delle
locandine per la mia presentazione.
Meno male che mi hanno offerto un caffè, prima di farmi
bere l’amaro calice.
Con l’ausilio di un’esperta operatrice, nonché amica e
omonima, ho deciso (assieme al libraio che organizza l’happening) il layout, lo
stile e, soprattutto, la fotografia da inserirci.
Già: la foto.
Alla sola idea di doverne selezionare una a tale
scopo, mi sono sentita mancare. Per fortuna, avevo le immagini scattate dall’amico
Franco: abbiamo scelto quella dove sfiguravo meno, cercando una collocazione
sul foglio utile ad evitare l’effetto epigrafe.
Se è vero che il ritratto serve (ventidue anni dietro
un banco fanno della mia una faccia conosciuta), fondamentale sarebbe non
spalmare il paese con manifesti commemorativi della cara estinta. Non vorrei
vedermi recapitare qualche corona di fiori in
memoria, il gran giorno.
Una volta stabilitane la posizione, la nostra
grafica ha provato un lieve effetto sfumato, ai bordi dell’immagine: con un
salto sulla sedia, abbiamo richiesto di tornare ai confini netti e precisi. L’effetto
lapide creato dal flou era francamente impressionante.
Dopo mezz’ora di summit, abbiamo partorito: e vi
garantisco che è stato un parto più lungo e doloroso di quello che ha visto la
comparsa in scena del gaglioffo.
Certe cose non fanno per me. Ripensandoci, forse avrei dovuto
scegliere la carriera del ghost writer: così, avrei potuto rimanere invisibile.
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