Resettatemi, please!
Gente,
sono esaurita. Non mi sopporto più: ci sono aspetti del mio modo di essere che
mi mettono in un imbarazzo cosmico.
Pensavo
a una sostituzione delle aree cerebrali coinvolte, ma mio marito lo garantisce:
non esistono procedure simili, nemmeno a livello sperimentale.
Peccato.
Diversamente,
ne sono certa, sarebbe lui il primo a donare il mio corpo alla scienza: ne combino così tante da averlo condotto alla
rassegnazione. Non si arrabbia nemmeno più.
Come
il giorno in cui ho afferrato le chiavi del camper, senza accorgermi che, sotto
di esse, si nascondeva il suo meraviglioso cronografo. Prezioso oggetto, regalo
mio, tra parentesi, che ho spedito a schiantarsi sul selciato, appena fuori
dalla porta: incisione indelebile sul fianco sinistro della cassa dell’orologio.
Silenzioso dispiacere, altrettanto indelebile, inciso sul volto del marito. Un
senso di colpa schiacciante, inciso in sempiterno nel cuore mio.
E’
un continuum, un danno dopo l’altro, una dimenticanza appresso alla precedente,
disastri a ripetizione. E meno male che non soffro di sindrome premestruale:
una come me sarebbe capace di dar fuoco alla casa, se andassi soggetta anche a
quella.
Veniamo
a noi: l’altro ieri, avevo programmato una visita di controllo, di quelle
routinarie. Odiando i ritardatari, mi ero attrezzata per arrivare con largo
anticipo rispetto all’orario stabilito: già un’ora prima ero in loco, tonica e
stenica. Circostanza che, tra l’altro, mi ha condotto all’interno di una
pasticceria, dove ho peccato. Non molto, ma ho peccato: il che, considerati gli
ultimi verdetti senza appello della mia bilancia, sarebbe stata mossa da
evitare.
Comunque
sia, dopo un peccaminoso spuntino e un corroborante cappuccino, suono alla
porta del medico: nessuna risposta. Lascio passare qualche minuto, e ci
riprovo, poco convinta stavolta: se non c’è lui, non dovrei esserci nemmeno io.
Questo è poco ma sicuro. Già attanagliata dall’angoscia, afferro il cellulare,
per chiamare l’ambulatorio: il dubbio era se il mio fosse un anticipo cosmico o
un ritardo bestiale. La voce del medico in persona, incisa su nastro, mi detta
il suo numero di cellulare, per comunicazioni urgenti.
L’urgenza
c’è, è indiscutibile: devo capire cos’ho combinato.
Chiamo
il doc, scoprendo che questi mi aveva aspettata per un’ora e mezzo, il giorno
precedente, prima di tornarsene a casa sua. Nel dubbio che mi potesse essere
successo qualcosa, non mi ha chiamata: non voleva disturbarmi!
Datemi
una pala, che mi seppellisco. Mannaggia a me e al mio rapporto conflittuale con
la tecnologia: cercando di fare la moderna, mi son scritta l’appuntamento direttamente
sul cellulare. Posticipandolo di un giorno..
Prostrata
dalla vergogna, ho implorato il dottore di scusarmi: dottore che non solo mi ha
scusata, ma è corso ad aprire l’ambulatorio, solo per me. Se poi considerate
che, essendo moglie di un collega, manco accetta che le visite io le paghi,
avrei voluto suicidarmi in diretta. Per fortuna, mi ero attrezzata in
precedenza, portandogli un omaggio: tanto più necessario ora, dopo la bella
prova sopra descrittavi.
L’unica
buona notizia della giornata è che sto benissimo: fisicamente, almeno. Di
testa, sono un caso limite, e soprattutto, senza speranza.
Se
qualcuno ha qualche buona idea per mettermi in sicurezza, vi prego, parli ora.
Altrimenti, mi sa che mi dovrete sopportare così, per sempre.
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