Non è umano

Ieri notte, ore tre. Un tramestio infernale mi strappa dalle braccia di Morfeo: manco a dirlo, il frastuono proviene dalla camera da letto del solito noto. Tendo l’orecchio, per cogliere eventuali segnali preoccupanti. A parte alcune scosse violente impresse alla scaletta (l’uomo dorme ancora in trespolo: di scendere a valle, sul letto pianoterra, non se ne discute nemmeno) e svariate imprecazioni masticate tra i denti, non mi sembra ci siano drammi in corso, nella stanza accanto. Rassegnata, mi rigiro su me stessa, riaddormentandomi.
L’indomani, raccolgo la cronaca in differita degli avvenimenti notturni: lo stordito aveva sete. Ha così deciso di scendere dal letto senza accendere la luce: precipitando così nel vuoto, invece di imboccare la scaletta. Ancora semiaddormentato, si è ritrovato appeso alla sponda del letto, penzoloni nel vuoto, come una bertuccia: “Mamma, mi sono svegliato di colpo: dopo ‘sta emozione, ci ho messo tre ore a riaddormentarmi!”
Questo mi fa sport estremi notturni, collezionando scosse adrenergiche in ore nelle quali gli esseri umani normali, al massimo, si fanno una camomilla.
Metà pomeriggio, ieri: sto per uscire con un’amica, che accompagnerò a provare un abito da cerimonia. Il nostro inforca la bici, per andare chissà dove: il ferrovecchio produce un clangore preoccupante, tanto marcato da costringerlo a fermarsi. Assistendolo nella visita alla paziente, scopriamo che: il parafango è spezzato (sono stata io: lo confesso. Mi si è sbriciolato fra le mani, un giorno che tentavo di levarmela dai piedi…) mentre il suo sostegno ha perso una delle viti, così ora esso sventola, libero e bello, minacciando di infilarsi tra i raggi. In qualche modo, blocco la barra volante, salvandogli la vita: domani, faremo i meccanici di biciclette.
Stamattina: ore sette meno dieci. L’infingardo fa la sua comparsa in cucina, tonico e stenico. Suo padre e io trasecoliamo: cosa fa vivo e vegeto a quest’ora?
“Mi avete costretto a spegnere il computer alle dieci! Ho dormito fin troppo…”
Da notare che ha guardato “The social network” con me fino alle undici di sera. Comunque sia, nella sua formidabile capacità di adattamento, l’individuo scopre i pregi della sveglia antelucana: “La giornata è più lunga, mamma! Inizi prima a fare matematica (…) e così sei libero prima. Anche perché a quest’ora non c’è nessuno di vivo: né in casa, nè su internet!” conclude, con vena polemica.
“Curiosità: che ti ha detto il tuo amico romano, circa i nuovi orari…?”
“Mi ha sostenuto quando mi sono arrabbiato. Poi mi ha confessato che deve svegliarsi presto anche lui, così ci siamo rassegnati!”
Grande cosa, internet. Le mamme, all’insaputa dei figli, possono architettare veti incrociati e azioni sinergiche, tramando sul social network (appunto) con risultati… amplificati. Le minacce coordinate valgono il doppio.  
Inoltre, i figli vanno motivati: se i due infingardi oggi vogliono lavorare sul loro canale Youtube, dovranno produrre qualcosa di credibile anche in altri campi. Altrimenti, niet.
E questa è la più formidabile delle motivazioni. Il futuro immediato si vede meglio di quello remoto: meglio farli puntare a un commentary oggi che a un diploma domani.
Poco fa, il solito dramma: partono le due prime lavatrici, prima che io entri in camera sua. Costretto a liberare letto e scaffale dei libri scolastici, il nostro ha scoperchiato la solita miniera di bucato da lavare, con calzini zozzi infiltrati persino sotto le coperte del letto per gli ospiti. Che è stato bonificato e rifatto con biancheria fresca, per la cronaca: così quando il suo famigerato amico verrà a trovarlo non morirà soffocato.
Ogni volta che frequento mio figlio troppo da vicino, mi domando se è un alieno. Come possa sopravvivere a se stesso mi resta un mistero.
Quanto a me, ora devo solo lavare una montagna di roba, smaltire un quintale di carta, e ripassare con lui circonferenza e cerchio.
E’ proprio vero: i figli ti regalano la felicità. Ne ho le prove.

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