Isola ecologica
Parliamo
di pattume. Qui si fa la differenziata: sarà per quello, ma le tariffe sono via
via lievitate, sino a far diventare l’immondizia quasi un bene di lusso. Ci
pesano il secco e l’umido, calcolando una produzione non pro capite, ma pro
famiglia: va da sé che la nostra va molto oltre la media nazionale, quanto a
numero di teste. Il che mi costringe al triplo carpiato, per non arrivare a
sfondare il rigido tetto imposto dall’azienda per l’asporto: spesso, vengo
notata con la testa nel sacchetto della cucina, mentre ripesco confezioni di
plastica e fazzoletti di carta, gettati per sbaglio nel secco da uno dei figli,
per poi smaltire il mio bottino nel modo corretto. Per fare una distinzione senza errori, la mia
laurea non è sufficiente: la confezione di carta rigida del cibo per animali,
per esempio, è classificata come cartone. L’averla buttata assieme alla carta è
costato un aspro rimprovero al figlio informatico, intercettato dai netturbini
incaricati della raccolta. Hanno portato via tutto, ma sarà l’ultima volta,
hanno minacciato.
Quando
produci qualcosa di peccaminoso, dunque, tipo cartone, scarti informatici,
ombrelli rotti, devi andare in discarica. Ci si potrebbe scrivere la divina
commedia, sul suddetto tour: i rifiuti devono partire da casa già classificati,
suddivisi e pronti per centrare la benna giusta, con lancio preciso e
soprattutto rapido. La fila è sempre interminabile. Il traffico è regolato da
una serie di cerberi, che dirimono i dubbi della sperduta utenza e la spronano
a occupare le piazzole il minimo tempo possibile. Se ti attardi, o hai qualche
incertezza, poco manca che ti prendano a calci la macchina.
Ultima
trovata, non si può fare più di una visita in discarica, al giorno. Ergo, se tu
riordini il garage, la soffitta o la cantina, ritrovandoti con un monte di
robaccia da smaltire, è maglio che tu metta in preventivo una settimana, prima
di liberarti di tutti i sacchi. Di buon mattino, caffè, giornale e giretto in
discarica. Così prendi aria e ti sgranchisci le gambe.
Ieri
‘sta gente ha toccato il fondo: l’informatico è andato a buttare cinque sacchi
di erba e sfalci, materializzatisi per il lavoro di giardiniere, eseguito dal
papà il giorno di ferragosto.
Con
quattro sacchi è andata bene: disgraziatamente, l’ultimo si è lacerato,
precipitando all’interno della benna.
I
demoni guardiani hanno obbligato mio figlio a gettarsi DENTRO alla benna, piena
di rami tagliati, erba e residui vegetali, per recuperare i resti del
sacchetto. Fortuna ha voluto che la vasca fosse quasi piena, così il ragazzo ha
potuto issarsi lungo i bordi, riguadagnare la superficie e toccare terra di
nuovo, tornando a casa sano e salvo.
Ma,
dico io, un rampino non ce l’hanno mica, questi??? E mi domando altresì: se gli
fosse caduto un pezzo di legno nel metallo, che avrebbero fatto? L’avrebbero
costretto a saltare in mezzo al metallo arrugginito e agli spuntoni d’acciaio?
Secondo
me, questi sono matti. Andrebbero regolamentati.
Comunque
sia, poiché la gente non ama essere tiranneggiata, mi accorgo che lo
smaltimento clandestino di rifiuti sta prendendo piede anche da noi: oggi, in
giro per le campagne, ho trovato quattro sacchetti di frazione secca,
abbandonati lungo i canali d’irrigazione. Due di essi erano stati lacerati da
qualche animale, e il contenuto era sparso nel raggio di svariati metri. Vicino
a Villa Emo, sempre nei canali accanto alla strada, ho contato: due copertoni
esausti e persino la tazza di un water. Mi è sembrata un’immagine evocativa: difficile
sopprimere la tentazione di scattare una foto e inviarla al sito dei
responsabili dell’asporto rifiuti, corredandola di opportuni suggerimenti sull’uso
da farne.
Noi
cerchiamo di essere ecologicamente corretti, ma le pressioni che subiamo sono
fortissime. L’imbarbarimento è dietro l’angolo: il giorno che ci cedono i
nervi, non garantisco sulle nostre reazioni. Ci stiamo seccando. Parecchio.
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