Finalmente soli
Era ora. Spero di riuscire a partire
entro stasera.
Gli ultimi tre giorni in Calabria sono
stati una tortura, fisica e mentale: il gaglioffo, ormai costretto ad
accartocciarsi per entrare nel suo letto, è stato trasferito d’ufficio in
mansarda, accanto a me. E questo nonostante le mie vibrate proteste: avrei
voluto rifugiarmi in cuccetta, lasciando il letto grande ai due maschi. Invece, il
giovanotto si è rifiutato di dormire con papà: perché la mamma è meno
ingombrante, più profumata e, soprattutto, perché non russa.
Per poco non ne esco con le ossa rotte.
La prima notte, mi sono beccata due
ceffoni, una gomitata e ho dovuto condurre una strenua lotta con un ginocchio,
irresistibilmente attratto dal mio fianco destro.
Avvisato delle sue violente abitudini
notturne, mio figlio è stato colto da una crisi di coscienza: “Non voglio fare
male alla mammina! Io dormo sotto gli alberi, stanotte. Dov’è il materassino di
gommapiuma…?”
La seconda notte, ha lavorato di gambe:
svariate pedate, alternate a qualche tentativo di abbraccio. Mi ha arpionato un
paio di volte almeno, attirandomi a sé come una piovra. Il senso di colpa gli
devastava il subconscio, ritengo.
Dopo due notti insonni, ormai mi calava
la palpebra alle nove di sera: circostanza per la quale sono stata crudelmente
dileggiata per giorni, dall’intera famiglia.
Una famiglia che si prende gioco di me
anche per la mia divisa antiuomo: camiciona da notte in jersey di cotone,
taglia 46, con il logo gatto miao ripetuto qui e là. Quando
entro in quel sacco informe, si spegnerebbero gli istinti erotici anche del
gorilla cantato da De Andrè. D’altronde, viste le condizioni di promiscuità in
cui si vive in camper, mi abbandono almeno ai piaceri della comodità: di fare
la sexy non se ne parla. Troppi figli nei dintorni, sempre pronti a darmi della
pervertita, se indosso qualcosa di più conturbante di un saio.
Siamo giunti così all’ultima notte
insieme: questa volta non mi ha percosso. Mi ha ignorato. Si è allargato tanto
da occupare quasi tutto il letto: costretta in uno spazio minuscolo, nel gesto
di voltarmi su me stessa mi sono schiantata col ginocchio – l’unico sano
rimastomi, dopo lo scontro con la scogliera – contro il telaio della
finestra. A metà nottata, mi sono alzata per bere: manco a dirlo, quello ne ha
approfittato per dilagare ancor di più. L’ho trovato messo di traverso sul
letto, nella posa del Discobolo di Mirone. Afferrato di peso il manzo, l’ho
spostato dalla sua parte: pur trattato come un sacco di patate, l’uomo non dava
segni di vita. Continuava a dormire come un ciocco. Se respiro più forte, suo
padre si sveglia: questo, non lo svegliano manco le cannonate.
Comunque sia, separata dal marito, con
un compagno di letto diabolico, chiamata “Gattomiao” oppure “Mi cala la
palpebra”, ho trascorso una vacanza sfibrante, almeno negli ultimi giorni.
Sulle corse per rimettere a posto la
casa e aiutare il terribile duo a preparare le valigie, già vi ho relazionato.
Spediti i due infausti verso le
rispettive destinazioni, ho raccolto le mie masserizie, per ricaricare il
camper: in lavanderia, mi attendeva uno spettacolo raccapricciante. La mia
amata camiciotta da notte penzolava, impiccata alla porta della lavanderia. Mio
marito l’aveva aperta e poi richiusa: rinchiudendovi dentro gatto miao.
Nel dubbio si tratti di un monito, ho
deciso di non portarla con me, stavolta.
Poi, sono andata in bagno: dove ho ben
pensato mettere assieme due fondi di deodorante. Peccato che abbia confuso le
due confezioni da viaggio – le etichette sono per il volgo: io la roba la
riconosco a occhio… – mischiando il latte deodorante con quello detergente.
Così li ho buttati entrambi. Ma il guaio vero non è questo: il guaio vero l’ho
combinato quando ho cercato di struccarmi, usando appunto il latte deodorante.
Un’autentica esperienza estrema: da evitare. Garantisco.
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