Vita da camper
Vita
en plein air. Parliamone.
Dopo
mesi e mesi di smog, traffico, vita frenetica e ritmi incalzanti, si recupera
infine una dimensione spazio-temporale a misura d’uomo. Uno rientra in contatto
con la madre terra, il cielo – di notte,
addirittura stellato: una caratteristica che tendiamo a dimenticare, in città –
riavvicinandosi a flora e fauna.
Ohimammamia,
quanto mi sento bucolica.
Non
mi smonto nemmeno quando decine di piccoli globi di resina, caduti dagli eucalipti,
si trasferiscono dalla poltroncina alla mia sottana, prendendone stabile
possesso.
Pazienza, laveremo… sorrido,
fra me e me. Poco dopo, un refolo di vento particolarmente vivace solleva una
nuvola di polvere, fogliame e terriccio, che si deposita su tovaglia, poltroncine,
telo impermeabile (posto a terra, ad evitare di portare in camper mezzo camion
di terra ogni giorno…) e sulla sottoscritta. Dopo un paio d’ore trascorse sotto
le fresche frasche, sono incipriata come una damina del Settecento, e la mia
chioma sembra una paglietta per pulire le pentole.
Pazienza, ci laveremo… Continuo
a sorridere, imperterrita.
Quanto
alla fauna, essa è rappresentata quasi esclusivamente da insetti di ogni ordine
e grado. Grilli e cicale sono più rumorosi del traffico cittadino all’ora di
punta, i ragni sono in grado di tessere una tela tra le sedie e il tavolo in
una notte, oggetti volanti non identificati cercano a più riprese di forzare il
blocco opposto dalle zanzariere, infilandosi clandestinamente in camper. Un
moscone e svariate mosche ci sono pure riusciti: obbligandoci a una battuta di
caccia grossa, armati di strofinaccio bagnato.
Una
figlia animalista ha tentato di opporsi alla nostra determinazione sterminatoria,
ma siamo stati irremovibili: dormire con un moscone prigioniero in camper è
impossibile. Fa più chiasso di un motore Evinrude.
C’è
poi l’amica ape, che abita nei pressi della piletta dalla quale spilliamo acqua
più volte al giorno: ogni gita alla fonte, un thrilling. Mi trafiggerà,
stavolta…? Finora, la bestia si è astenuta. Tuttavia, pranza con noi; e si porta
anche le amiche appresso, pur non avendo mai ricevuto alcun invito ufficiale. Siamo
costretti a mangiare sigillando le varie portate: se esponiamo gli alimenti per
più di quattro secondi, quelle si avventano in formazione. Con rischio di
abbattersi, sia pur per errore, sulla mano di un incolpevole commensale, alla
ricerca di un bocconcino di formaggio.
Pur
essendo virtualmente in grado di arrangiarci con le nostre sole forze, non
disdegniamo di servirci di campeggi, con l’intento di rendere la vita un po’
meno pesante al capofamiglia. Soggetto al quale, tradizionalmente, fanno capo i
compiti più ingrati: carico e – soprattutto – scarico delle acque. Grigie e nere.
Quest’ultima è un’operazione particolarmente simpatica: pur facendo ampio uso
di disgreganti, denaturanti e disinfettanti vari, sempre liquami sono. E
pesano: venti chili, a pieno carico.
Jurassico,
però, è uomo organizzato: si è comprato un carrellino ergonomico, con ruote da
sterrato, con il quale raggiunge senza troppe difficoltà il wc chimico, dove
liberarsi dell’orrido fardello. Nell’intento di rendere meno frequente tale
poco piacevole occorrenza, abbiamo provato a far uso dei bagni comuni. Ivi non
mancano solo sapone e carta: non è stato installato nemmeno il reggicarta.
Ergo, ammesso e non concesso che uno si attraversi tutto il camping, con il
rotolo di carta igienica sotto il braccio, una volta giunto a destinazione
dovrebbe stringerlo fra i denti.
Se,
nel tentativo di dissimulare la cosa, uno esce con un innocuo beauty, nel quale
sia nascosto il necessario, il problema non sarebbe da considerarsi risolto:
dove appoggialo, mannaggia?
L’uso
dei bagni comuni è stato dunque escluso: con il placet di Jurassico. Il quale
sostiene di guidare un transatlantico anche per viottoli impervi, talvolta,
appunto perché stiamo comodi tutti. E pazienza se poi la comodità si paga.
La
cucina è un po’ un cimento: la scarsità di spazio e di pentolame mi costringe a
una produzione quasi essenziale. Che però viene sempre accolta da grandi espressioni
di apprezzamento: l’attività natatoria stimola l’appetito, evidentemente.
Quanto al rigoverno piatti, io mi occupo di ripulire i fornelli, Jurassico le
stoviglie. A ognuno il suo.
Oggi,
è stato anche giorno di bucato: armata di sapone di Marsiglia, me ne sono
andata ai lavatoi. Qui, con una piacevole brezza ad alleviarmi il compito, ho provveduto
all’igienizzazione di magliette e biancheria varia, che iniziavano a
scarseggiare.
Con
l’occasione, ho osservato la popolazione che si avvicendava ai secchiai: tutti
uomini. Un miracolo: gente che a casa non sa nemmeno come si apre la
lavastoviglie, si destreggiava con perfetta padronanza tra detersivo, spugnette, stoviglie e pentolame vario. E lo facevano col sorriso sulle labbra: anzi, ne
approfittavano per socializzare fra loro. Ho assistito a una amabile conversazione
fra due signori, provenienti da due punti estremi della penisola: in altre
circostanze, probabilmente non si sarebbero nemmeno guardati in faccia. Un po’
come capita a noi mamme, quando ci troviamo riunite, davanti alla porta del professore
più cerbero della scuola. Solidarietà nelle avversità? Simpatia istintiva fra
simili? In un campeggio, decadono anche le diffidenze interregionali: cos’è il
Po? Un avverbio, forse…?
Le
mogli, talvolta, arrivano a fornire
assistenza al coniuge: il quale, dal canto suo, ricusa ogni intervento muliebre. Oggi, i
piatti li vuol lavare lui.
D’accordo:
è una vita un po’ pionieristica. C’è gente che non può capire come uno si mangi
una cifra blu per ridursi a fare una vita da rom: però ‘sta esistenza da
camperista mi piace troppo. Sovverte le regole, costringe a uscire dagli schemi
e ti regala qualcosa di impagabile: la sensazione di libertà assoluta.
Commenti
Posta un commento