Fashion victims
Il maggiore, faccia annerita dalla barba di tre giorni, un paio di calzoncini risalenti al Cretaceo e una maglietta decennale, con logo di Praga vistosamente scrostato, afferra le chiavi dell’auto e fa per uscire.
“Dove vai combinato così?”
“A vedere se trovo ‘sta benedetta cerniera…” mi risponde, agitando un oggetto metallico.
Fra i tanti eventi abbattutisi sulla Stamberga, vi è anche il cedimento di uno sportello della cucina. Naturalmente, si tratta di quello che celerebbe le pattumiere: i gatti fanno una festa, ogni volta che entrano in casa. C’è sempre qualche leccornia da rubare, dal secchio dell’umido. Quanto a me, è una vera gioia la lotta impari contro gli effluvi che si espandono dal secchio e le file di formiche che cercano di raggiungerlo.
Poiché le disgrazie non vengono mai sole, il pezzo di ricambio non sembra più reperibile, almeno nel raggio di dieci chilometri. Pare che a trenta, invece, ci sia il produttore che lo tiene a catalogo: la belva affronta il traffico, per andare a recuperarlo.
Il suo abbigliamento, tuttavia, lascia perplessa persino me: ma lui non si sposta di un centimetro.
“Mamma, se vai per ferramenta vestito come un damerino, non ti guadagni il loro rispetto. Più hai l’aria sporca e vissuta, più probabilità hai di essere preso sul serio!” enuncia, serio.
E’ una filosofia dai risvolti interessanti, la sua.
Mentre mi abbandono a queste riflessioni, l’uomo sparisce; per tornare, più nero che mai, dopo un’ora abbondante, con la notizia: “Al telefono mi avevano detto di averlo a catalogo. Il che non significa avercelo disponibile! L’ho scoperto quando mi sono presentato al banco.”
Menti superiori, i telefonisti di questa ditta: è una genialata, far girare la gente a vuoto in questo modo. Occhieggio il giovane, che ostenta un’aria temporalesca, e gli domando: “E…”
“E mi hanno garantito che me lo procurano in una settimana. Speriamo sia vero!” brontola, mentre sale le scale, tornando a occupare la sua postazione fissa, davanti al fisso.
Già. Speriamo proprio: qua pare di stare in un cantiere, fra una cosa e l’altra.
Vedendomelo sfilare davanti, con quei vestiti improbabili, provo una fitta di rimorso. Abbiamo sempre dato un pessimo esempio a questi figli, con l’abbigliamento.
L’altro ieri, Jurassico è uscito dalla camera con una t-shirt bianca e un paio di pantaloncini da tennis, calzati a quota ascellare, che lo facevano sembrare il cugino di Fantozzi. La sottoscritta, per non essere da meno, era bardata con un paio di pantaloni del ’99, con le cuciture un po’ tirate sul fondoschiena – ci fu un’epoca in cui avevo collezionato alcuni chili in più – dei quali non mi risolvo a liberarmi, poiché di una comodità unica, corredati da una maglietta omaggiatami da non so più quale ditta farmaceutica. Sono griffata da un lassativo: il che, considerando l’aspetto che esibisco, non è nemmeno da considerarsi fuori luogo.
Conciati così, appena ci vediamo, ci abbracciamo, per baciarci con amore: come fanno, ‘sti poveri ragazzi, a imparare che l’abito fa il monaco, almeno un pochino? Con due genitori del genere, è una causa persa.
Meno male che abbiamo la Miss, che fa da consulente d’immagine all’intera famiglia.
I miei figli, tuttavia, non sapranno vestirsi – o forse lo sanno fin troppo bene: devo ancora decidere – ma almeno sanno come comportarsi. Ciò mi conforta non poco.
Giorni fa, un nostro amico aveva chiesto, sempre all’informatico della cerniera rotta, di dare un’occhiata al suo PC: al ritorno, mi ha relazionato.
“Mamma, siamo andati al ristorante, con A.”
“Sì? Come mai?”
“Si era fatto tardi, la moglie non era a casa, e gli seccava di tenermi a digiuno. Io gli avevo detto di andare a farci un toast al bar, ma lui non ha sentito ragioni...”
“Gentile. Dove siete andati?”
“Non lo so, ma era un posto elegante: il cameriere, in divisa con tutti i decori, ci chiamava signori… Io, in jeans e maglietta da lavoro, non mi sentivo certo un signore. Quando poi ho visto il menù, e i costi, mi sono sentito male! Ho cercato di pagare lo stesso, ma non c’è stato verso. Siccome, però, me lo immaginavo, avevo scelto la cosa meno costosa. Che era un furto lo stesso, comunque!”
“Tipo?”
“Tipo Sinfonia di gnocchetti con peripezie di asparagi, o una roba simile. Costava 15 €: per sei gnocchetti di numero, tra l’altro. Dopo quelli, ho detto che non avevo più fame.”
“E lui ci ha creduto?”
“Sì, anche perché gli ho descritto la mia colazione.”
“Mhm. Allora ci ha creduto, sì.”
“Il PC è ripartito?”
“Sì, certo!”
“Allora sono stati soldi ben spesi, via.”
Malvestito, ma efficiente. E discreto, anche. Poteva andarmi peggio, dopotutto: con la gioventù fuori controllo che c'è in giro, di questi tempi, posso considerarmi fortunata.
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