Partire è un po' morire

Se non per me – che in realtà non vedo l’ora – lo è per papà Jurassico.
Fino a un paio d’ore prima della messa in moto, la parola d’ordine è traccheggio: non è dato sapere se, per dove né quando partiremo.
Ci sono attimi in cui scorgo una luce omicida, negli occhi dei nostri figli: impossibile azzardare uno straccio di progetto, anche per loro. Quanto a me, non ne parliamo: sono diventata un’artista dell’improvvisazione. Quando, all’ultimo secondo, vengo informata sulla nostra destinazione, provvedo di conseguenza.
Comprendo il dramma della prole, ma non so che farci: l’unica soluzione sarebbe resettare il cervello del consorte. Costui per settimane va scandagliando riviste per camperisti, invaghendosi di proposte vacanziere che vanno dalla sagra dell’asparago altoatesino al brivido del campeggio plein air, in Aspromonte. Proposte che sottopone, garrulo, all’intera famiglia, sperando di sedurre qualche figlio.
Figuriamoci.
Come vuole la norma, colleziona pernacchie. Virtuali, espresse in forma di cortese dissenso, o di scusa scolasticamente corretta, ma sempre pernacchie: “Papaaaaà…”
L’innocente ancora non ha capito che la vera vacanza sono i genitori fuori dai piedi.
Alfine, si decolla: nel suo caso, con la morte nel cuore.
Il meschino soffre: soffre a lasciare i figli abbandonati (!!!), soffre al pensiero dei mille congegni che si potrebbero inceppare in sua assenza – dall’irrigatore del giardino all’impianto fotovoltaico, per tacere di quello termosolare – e, soprattutto, soffre per lei.
Lei, la mia grande rivale: saperla dimenticata, in città, sola, mentre lui folleggia con me in qualche punto imprecisato del globo lo fa macerare nel senso di colpa. Senza contare che, anche per lui, non vederla per giorni e giorni è una sofferenza.
Per rendergli sopportabile tale supremo sacrificio lo devo fiaccare: anche in quest’occasione, lo sci in quota si è alternato a trekking, piscina, palestra.
Ferie iperattive: unico modo di fargli scordare per un po’ la sua Wilson, l’adorata racchetta da tennis. Unico modo altresì per non tornare zavorrati da tre chili di troppo: la cucina trentina è un attentato al nostro indice di massa corporea.
Una volta tranciato il cordone ombelicale, tuttavia, l’uomo si trasforma: pieno di attenzioni, si prende cura di me come fossi una bambina. Ed io, una volta tanto, mi faccio coccolare: raggiungendo abissi di zuccherosità che nauseano anche me.
Come l’altro ieri, quando sono tornata dai campi da sci, dove mi ero attardata un’oretta in più, rispetto a lui. Sollecito, appena mi ha vista comparire all’orizzonte, mi si è fatto incontro, mi ha tolto di mano sci e racchette, per poi inginocchiarsi ai miei piedi, per aiutarmi a sfilare gli scarponi. Non sia mai che mi affatichi troppo…
Considerato che, a casa, sono sempre io quella che si spende per tutti – e sono tanti, i miei tutti – questi comportamenti mi deliziano. Al punto che, mentre lui si prodigava a farmi da cavalier servente e gli U2 gorgheggiavano, nel mio iPod, “I have climbed highest mountain… Only to be with youuu…” un altro poco e mi commuovo. Un autentico magic moment, con tanto di colonna sonora ad hoc.
Cretina: centocinque anni in due e sono più melensa di una diciottenne innamorata.
Meno male che ha poco tempo libero, il marito: a farne troppe, di vacanze così, il rischio d'insorgenza di diabete sarebbe elevatissimo. 


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