Passeggiata romantica


Che goduria, ragazzi!
Jurassico e io dormiamo un numero di ore talmente esagerato che i casi sono due: o ci paghiamo sopra l’Irpef, o ci scatta il redditometro.  
Il posto è straordinario: panorami unici (le Dolomiti non tradiscono mai), piste da sci spettacolose, passeggiate indimenticabili.
Tutto perfetto, sulla carta.
Come si spiega, allora, che ho qui il consorte, più morto che vivo, che si trascina qui e là lamentoso come una vecchia cornacchia?
Tutto è iniziato ieri: cinque ore di sci l’hanno stroncato. La scusa ufficiale è il fermo forzato di più di un anno cui l’ha costretto il lavoro; io dico viceversa che qui stiamo invecchiando, ma che non vogliamo ammetterlo.
Comunque sia, oggi l’uomo ha dato forfait.
“Se metto gli sci, non torno a casa intero. Per oggi, meglio una tranquilla passeggiata senza pretese.”
Paziente e conciliante, trovo un tragitto adeguato alle nostre esigenze: il nostro valuta la cartina, e decide che è proprio quello che ci vuole. Alle undici del mattino, sole alto nel cielo, aria tersa tutt’attorno, partiamo alla ventura.
Ora, mio marito è assolutamente convinto di avere una bussola installata nel lobo frontale: ergo, ogni volta che si arriva a un bivio, e la sottoscritta estrae la piantina topografica (penosamente insufficiente, va detto: però interpretabile, sia pur con uno sforzo intuitivo non indifferente) azzardando un’ipotesi di tragitto, lui decide d’imperio.
“Si va di qua!”
Se potesse, ci metterebbe anche l’accento su quel qua. Superfluo aggiungere che io andrei di la… Opinione che ben mi guardo dal difendere, essendo dotata del senso dell’orientamento di un pipistrello a mezzogiorno.
Il suo decisionismo, ahinoi, è foriero di guai: oggi siamo finiti in mezzo a un bosco, a camminare per ore nel nulla più assoluto. Unico segno di vita, lungo la pista tracciata, le impronte di svariati ungulati. Per il resto, solo silenzio e nemmeno funghi: neve, neve, e ancora neve.
Alla prima fase di entusiasmo per la location ipernaturalistica, fase sottolineata dal crepitio degli scatti fotografici, è seguito un lunghissimo silenzio, rotto solo dal nostro respiro mozzo. Quando l’uomo si è fermato e si è messo a brucare la neve, distrutto dalla sete, ho dato voce alla mia perplessità: “Che fosse da prendere la strada più in basso?”
“Quella che dicevi tu…?”
“Mhm.”
“Forse. Ora vedo dove siamo.”
Attanagliato dal dubbio, il marcopolo della situazione afferra il cellulare e attiva il localizzatore satellitare: siamo all’interno di un percorso circolare. Tempo di percorrenza previsto: due ore e quaranta, salvo incidenti.
Decidiamo di interrompere all’istante il giro vizioso, e torniamo sui nostri passi. Questa volta un incontro lo facciamo, e non è l’uomo di Similaun: è uno scialpinista, che sta percorrendo il nostro tragitto in compagnia del suo cane. Che se s’inceppa, la bestia di certo provvede a farlo ritrovare: se caschiamo noi, invece, ci rinvengono tra qualche anno, ridotti a due ghiaccioli.
Ripercorriamo gli ameni luoghi a ritroso, trovando finalmente il viottolo giusto da seguire.
Dopo un’altra ora di cammino, ecco apparire i primi tetti: chiaro segno di rientro alla civiltà.
Jurassico, nel frattempo, vaneggia di pastasciutte abbondanti e vino a volontà.
La sottoscritta, dopo essere stata dileggiata per i suoi dotti commenti sulla qualità del letame conservato nei masi appena sorpassati (ebbene sì: il papà mi ha insegnato a riconoscere il bouquet del letame sano), simpatizza con una pecora nera, seguita a ruota dalla sua padrona.
“E’ una birichina! Non ha nemmeno un anno… scappa sempre!”
Si vede che le pecore nere si comportano come tali anche in natura.
Un passo dopo l’altro, raggiungiamo finalmente casa: sono le tre e mezzo del pomeriggio.
L’idea era quella di fare un po’ di movimento, per riattivare i muscoli gravati dal superlavoro di ieri: di movimento ne abbiamo fatto, questo è certo. Che i muscoli di Jurassico si siano rimessi in sesto, molto, molto meno.




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