Primini e container

La nuvoletta di fantozziana memoria ha colpito ancora: con un clima equatoriale, che ci costringe ancora a un utilizzo smodato dei condizionatori, l’unico momento di pioggia si verifica tra le sette e mezzo e le otto del mattino. Contribuendo così a restituire alle strade del nostro paesotto, sedicente città, il consueto aspetto da malabolgia.
Autisti dal piede nervoso alternano improvvisi balzi in avanti a inchiodate repentine; branchi di cicli allo stato brado sciamano per ogni dove, occupando l’intera carreggiata: forti del numero, gli studenti bici muniti dilagano. Di tanto in tanto, un motorino s’insinua nel gruppo, creando un allegro scompiglio: e facendo venire un colpo all’autista, appena sfiorato sulla destra. L’atmosfera è distesa, ilare: tutti sghignazzano, si salutano festosi, pedalano entusiasti. Il primo giorno di scuola ci si ritrova fra amici e compagni: nessuna interrogazione ti attende, gli istinti omicidi dei prof sono ancora sotto controllo, lo zaino – e il cuore – per oggi sono leggeri.
Leggiadre fanciulle zampettano attorno ai vari istituti, esibendo le ultime vestigia di abbronzatura, fasciate da metri di tessuto stretch; diviso in scampoli di pochi decimetri ognuna, peraltro: con la stoffa di un paio dei loro calzoni, io mi ci potrei fare i calzini.
Orde di brufolosi simil-rapper di pura razza veneta, probabili Scapin, Bortolotto e Marangon, caracollano sul cavallo dei pantaloni, aggirandosi come squali attorno alle stretchate di cui sopra. Tra felpa, cappuccio, braga calante e sigaretta pendente, sembrano appena emersi dal Bronx: poi, in vista di un loro simile, emettono un barrito di richiamo. Rivelando un imbarazzante accento polentone.
I cortili delle scuole medie brulicano di un’umanità colorata ed effervescente: il gaglioffo lo nota, con un fischio: “Guarda, mamma! Sono centinaia…”
“Eh, già. Vedremo a scuola tua, adesso…”
“Già. Noi saremo meno, però: oggi ci siamo solo noi di prima.”
“Sarete tanti lo stesso, fidati.”
“Mhm. Però ieri ero più emozionato: stamattina mi sono calmato. Adesso devo solo superare i primi dieci minuti: quelli fanno veramente schifo. Non sai nemmeno dove sei, né dove ti manderanno: devi orientarti e intanto cercare qualcuno che conosci. Per fortuna, un paio di vecchi compagni sono in classe con me. E, comunque, credo ci metteranno nei container, sai?”
“Considera questo: potevi finire al patronato!”
“Vero! Quelli sì che sono sfigati, poveracci…”
Già: il nostro liceo può contare sul meglio, quando a infrastrutture. Amianto come se piovesse (bonifica in corso: non ho idea se sia finalmente stata portata a termine), una consistente filiale dislocata nei container, come i terremotati. Infine, i locali pietosamente prestati dalla Curia: a un chilometro dalla sede centrale, una serie di aule fatiscenti (Valentina più volte è rimasta bloccata in classe, con docente e compagni, perché la porta si apriva solo dall’esterno…), prive di uscite di sicurezza e impossibili da raggiungere dal camion dei pompieri, in caso d'incendio. L’unica via d’accesso è sbarrata da un archetto lillipuziano.
Unico dato positivo, i condizionatori: tenendo i nostri figli (e i loro insegnanti) in scatole di plastica, sono costretti a climatizzarle. Così, d’estate possono respirare. Per il resto, la location ha una vaga somiglianza con Dachau: ogni volta che la vedo, mi si stringe il cuore.
La mattinata scorre lenta, nell’attesa del rientro del primino: all’ora di pranzo, eccolo fare la sua entrata trionfale. Ha conosciuto una prof che ha devoluto ben tre ore a spiegare il suo metodo d’insegnamento: dalle interrogazioni a estrazione fino alle inderogabili regole di comportamento, passando per la richiesta di usare un lessico di più di cento parole, mio figlio si è sentito subito a casa. Gli sembrava di parlare con la sua prof delle medie: quella che io adoravo, anche perché corresponsabile dell’illuminazione divina manifestatasi in Matteo negli ultimi mesi.
Unica perplessità, la dichiarazione della prof in oggetto: “Ragazzi, sappiate che sono una sadica. Vi faccio le domande al contrario!”
Sono rimasta turbata. Cosa saranno mai, ‘ste domande al contrario…?
Sul sadismo, mi riservo il giudizio. In fondo, il mio soprannome, qui a casa, è Crudelia De Mon… Quanto alla potenziale vittima, l’ha presa con filosofia: “In fondo, basta studiare. No?”
Già. Intanto, io mi preparo a fargli da tutor: Cepu, made in Mpc.
Il seguito alle prossime puntate.




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