Maschi(listi) protettivi

Ce l’ho fatta. Ho sconfitto l’ultima sacca residua di maschilismo jurassico.
E di questo devo ringraziare la supernonna camperista, descritta due giorni fa: signora, Dio la benedica. Lei mi ha cambiato la vita.
I fatti: il camper in nostro possesso è di dimensioni ragguardevoli. Caratteristica questa causa di più di un sudor diaccio sulla fronte dell’amato bene e di qualche piccolo incidente, nel corso degli anni. Robetta, nel complesso: un piccolo danno una volta, e tante, complicatissime manovre per disincastrarsi, in un paio di altre occasioni.
L’oggettiva scarsa manovrabilità del mezzo ha spinto il nostro cavaliere senza macchia e senza paura a impedire alla qui presente gentil donzella di imparare a guidarlo come si deve: a suon di discussioni, l’ho convinto a farmi fare un po’ di scuola di parcheggio in un piazzale – enorme e deserto – e  a farmelo guidare un paio di volte in autostrada.
Nonostante me la sia cavata senza danni né rischi per cose e persone, ogni volta che proponevo di mettere le zampette sul volante, s’inventava mille scuse per impedirmelo.
Quello mi ha affidato tre figli a scatola chiusa, ma non riesce a fare lo stesso con i mezzi a quattro ruote. Eppure, oserei dire che i risultati che ottengo, alla guida, sono ben più entusiasmanti di quelli conseguiti come madre…
Le mie recenti, sgangherate performance nei posteggi sono classificabili come casi sfortunati. In trent’anni, non mi è mai successo nulla di grave: sono prudente, occhiuta e ho un formidabile senso della misura. So parcheggiare un’auto di 5 m in tre manovre, per capirci: rappresento uno di quei non rari casi di femmina che guida non per dovere, ma per divertimento. Come supernonna camperista, detto fra parentesi.
Mio figlio maggiore, maschilista congenito e non ancora redento da “quella giusta”, sostiene che le donne non sanno guidare, ma che io rappresento l’eccezione che conferma la regola. Persino uno sciovinista come lui non ha il coraggio di affermare la mia incapacità ai comandi.
Eppure, col camper non c’è mai stato niente da fare: ogni tanto il cavernicolo celato in mio marito si risveglia. E fa danni.
Cosa faremmo, ad esempio, se per qualche ragione al pilota ufficiale fosse impedito di mettersi alla guida? Se facesse un brutto volo con gli sci, una distorsione in passeggiata, una slogatura a tennis? Dopotutto, l’uomo non è esattamente un pantofolaio: la possibilità che si faccia male esiste. A quel punto, io avrei svariate possibilità, una peggiore dell’altra. Lasciare il camper parcheggiato in area di sosta sei mesi, a 24 euro al giorno. Chiamare il carro attrezzi, invece dell’ambulanza. Corrompere un autista di pullman, convincendolo a ricondurmi a casa, guidando al posto di mio marito.
Tali mie argomentazioni erano rimaste inascoltate, sino all’altro ieri. Giorno nel quale, appunto, ho visto una luce nuova, nello sguardo del cavernicolo: stava osservando con occhio ammirato la signora e il suo camper.
“Forte la signora, eh?” ho affermato, neutra.
“Fantastica. Una donna come poche!”
“Mhm. Deve avere avuto un marito molto intelligente. Un marito che le ha permesso di imparare a guidare il camper!!!”
“Ahem… Ma è più corto del nostro!”
“Sì. Settanta centimetri. Sai la differenza…”
“Dovremmo comperare anche noi un camper più piccolo. Un camper… a misura di donna!”
Poveretto. Non poteva dire frase peggiore: la suffragetta si è scatenata, manovrando la logica come un corpo contundente e l’ironia come un’arma da taglio.
“E quale sarebbe, ‘sta fantomatica misura di donna?!”
“Un camper piccolo…”
“Originale, questa teoria dimensionale. Se lo devono caricare in spalla, per caso? Mandarlo avanti a spinta?”
“…”
“Oppure mi stai dicendo che le donne, e dunque anche la sottoscritta, non sanno guidare. Perché se fosse così, non mi dovresti mettere in mano un’auto da 240 cavalli…No?!”
“Ggnmmmm…”
“Va bene, allora non lo posso guidare perché il camper non è mio.”
“Beh, questa poi..”
“E allora?!”
“Io ti voglio proteggere!”
“Vile mentitore. Lancillotto dei miei stivali. Tu vuoi proteggere il camper: hai paura che te lo righi, confessa!”
“A me è successo, poterebbe capitare anche a te…”
“Bene, facciamo due conti: su quanti muri mi dovrei spataflasciare, per raggiungere i 20.000 euro necessari per cambiarlo con un modello più femminile?!”
“Uhm.”
“E poi, una volta che ci saremo presi un camper piccolo, chi si incarica di rivenderlo, quattro mesi dopo, tu o io? Perché lo sai quanto me, che nello stretto noi due non ci sappiamo stare…”
Povero Jurassico. Era arrabbiatissimo ma non sapeva cosa rispondermi. L’ho demolito senza esclusione di colpi.
La discussione si è conclusa con un nulla di fatto. Almeno in apparenza.
Il giorno dopo, dopo aver sobbollito per una dozzina di ore, l’uomo era cotto a puntino: mi ha proposto di riportare il bestione a casa. Mi sono rifiutata di condurlo lungo i tornanti – non sono cretina: si impara a camminare, prima che a correre – però da Naturno in poi, finalmente, mi sono messa al volante. Arrivando, precisa come un compasso, davanti al cancello di casa.
Jurassico era così felice e orgoglioso di me che ha stappato una bottiglia de quel bon.
Oppure, era talmente scosso da aver bisogno di un cordiale: non lo sapremo mai.
La versione ufficiale, quella propugnata presso i figli, è che mamma è stata bravissima e ha portato il camper fino a casa senza problemi.
Ho deciso di crederci: sarà meglio che ci creda anche lui, perché questa è stata la prima, ma non sarà l’ultima volta. Parola di donna al volante.

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