Ci vuole un fisico bestiale

Ci perdo il sonno, con ‘sti figli.
Ci perdo il sonno per la Miss, che comincia a far tardi la sera: è al sicuro, accompagnata da un bravissimo ragazzo, lei è una con la testa sulle spalle e sono a passeggio a trecento metri da qui. Ma fino a che non la sento rientrare, la fibrillazione non molla: cuore di mamma non è raziocinante. Batte, batte, batte, e basta.
Mi sveglio all’alba, destata dal tramestio prodotto da un figlio, spinto dall’urgenza di ripassare qualcosa all’ultimo minuto. E vai, che il cuore inizia a sanguinare…
Notte prima degli esami: esami dei figli, per i quali mi contorco come un lombrico, come mai mi è accaduto prima. Considerato quel che ho sofferto, ai miei tempi, temo siamo vicini alla soglia del non ritorno.
Vorrei spronarli, quando non s’impegnano abbastanza, e sollevarli, quando si preoccupano troppo: vorrei poterli guidare, confortare, consigliare e sostenere.
E invece mi devo defilare, restando presente senza farmi notare, disponibile senza intervenire, paziente ma non lassista, lasciando che ognuno di loro viva a modo suo la propria vita, operando da solo le sue scelte. Giuste o sbagliate che siano.
Una vita a far da tappezzeria. Che sofferenza.
Ci vuole fisico, per opporsi alla deriva della loro pigrizia: quella pigrizia che li rende inaffidabili persino come meri esecutori. I malfidati hanno capito che un subito… non è accettato come risposta: così spalancano gli occhi con aria innocente, arraffano quel che gli porgi, per depositarlo cinque passi più in là, scordandoselo, in altre faccende affaccendati.
Oppure iniziano dieci cose, come da ordini ricevuti, senza concluderne neppure una. Mandandoti al manicomio, per stare dietro a tutto: mi dovessi affidare a loro, l’intera famiglia soccomberebbe, uccisa dall’inedia e soffocata dal pattume.
E’ distruttivo, ripetere mille volte le stesse cose, pigliandosi anche le male parole perché sei noiosa, malfidente e ossessionante. Salvo poi fregarsene di quanto chiedi, mille e mille altre volte ancora.
Nulla, quanto fare il genitore, ti dona un senso d’inutilità tanto assoluto.
Chiedetelo a mio marito, che torna a casa dopo aver salvato il cervello all’ennesimo paziente, e si fa venire l’infarto perché gli hanno finito di nuovo la carta per la stampante, l’inchiostro, le batterie ricaricabili… Nonostante le reiterate minacce di annullamento fisico, in caso di recidiva.  
Ci vuole fisico, per non crescere una massa di bamboccioni: ci vuole coraggio, per erigere il muro contro il quale mandarli a sbattere, quando corrono senza freni né controllo. Solo un violento impatto ti rende consapevole di quanto il cemento non sia una superficie con la quale amoreggiare: ma per noi genitori sarebbe così bello, poterli rivestire di air bag, i nostri teneri rampolli…
Anche quando svettano molto oltre la nostra testa, pensano di saperne una pagina più del libro e si credono più avanti di quello che sono.
Eppure… qualche volta riescono ancora a sorprendermi.
Con un abbraccio a sorpresa, perché al gaglioffo riesce bene qualcosa che proprio non gli andava giù. E ci riesce grazie al mio aiuto, la mia ostinazione e la mia cattiveria.
Una Miss che mi vede sola nel letto, la domenica mattina, perché papà è stato di guardia: e s’infila un secondo sotto le lenzuola, a prendersi una carezza e una piccola coccola. Rilanciandomi di botto indietro di sedici anni, quando mi stava stretta addosso come un piccolo gattino, facendosi coccolare per un tempo infinito. Mi riscalda il cuore, sentire che quel filo che ci legava non si è mai spezzato.
Quando vedo i maggiori che discutono fra loro di cose che io non capisco nemmeno, mi sorprendo convinta che riusciranno a concludere qualcosa, nonostante le mille difficoltà che incontrano.
Vittime consapevoli, designate e consenzienti. Questo siamo, noi genitori. E siamo fortissimi, proprio per questo.

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