Tutta una questione di DNA

Domenica mattina, ore sei e un quarto: c’è un tempo d’inferno e già i miei guai sono iniziati.  
Il gaglioffo, sveglio di buon ora, sta lavando a mano la sua divisa da tennis: si è ricordato di averne bisogno tra un’ora. Notizia appresa venerdì, in campo, e della quale, giustamente, sono stata tenuta all’oscuro: così come non sapevo che la divisa in ordine, quella che faccio sempre in modo sia pronta in armadio, è stata clandestinamente utilizzata sabato mattina, per gli allenamenti di basket a scuola. Morale: di due completi, nemmeno uno è portabile. Meno male che possediamo un’asciugatrice…
Ore sette e trenta, il campione esce da casa, vestito come un gelataio in agosto: l’unica cosa che siamo riusciti a convincerlo a infilare, sopra allo striminzito completino estivo, è una giacca della tuta. Bianca. Gambe al vento, zero soprabiti: ci sono dieci gradi, infuria la tempesta e sembra pieno inverno. Niente da fare: quando si vestono, i miei figli non guardano fuori dalla finestra, ma il calendario. E sulla base di quello, scelgono la pesantezza degli abiti.
Abbandono la belva al suo destino, e mi dedico alla casa: alle nove e un quarto, faccio per uscire. Ho programmato di far la spesa, nell’unico negozio aperto della città, nel solo momento in cui lì dentro non ci sarà il delirio.
Ma c’è un ma: trovo un sms. Di nuovo il manigoldo e le sue emergenze.
“Mamma, mi sono scordato la tessera FIT. Senza non posso giocare :-(
“Nemmeno mandandoti il numero, che ne so, un fax?!” tento di digitare, con poche speranze.
“No. Ci vuole proprio quella!”
Perfetto. Non mi rimane che offrimi volontaria per provvedere, supportata da Jurassico. Il quale, già di malumore da prima, adesso è più tempestoso del cielo sotto il quale ci lanciamo al galoppo. Dettaglio aggiuntivo: l’attrezzatura del furbo è rimasta al tennis club. Peccato esso non sia la sede del torneo…
L’unica giustificazione che posso addurre, per questa follia totale – costui si presenta ai tornei senza racchetta e privo di tessera di riconoscimento. Cose mai viste - è il fatto che la sua convocazione avrebbe dovuto essere solo virtuale. Non era previsto giocasse, anche perché non si allena da due settimane almeno: un imprevisto lo sta trascinando effettivamente in campo. Con tutte le conseguenze del caso…
Facciamo un giro panoramico del trevigiano, raccattiamo il materiale disperso, raggiungendo la sede della gara: per scoprire di essere arrivati con cinque (cinque!) minuti di ritardo. Hanno dovuto sostituire il sostituto.
Sostituto col quale ci siamo scambiati la seguente serie di messaggi:
“Mamma, dove sei?”
“Tra dieci minuti sono lì”
“Troppo tardi: hanno già fatto il doppio :-(
“Non so cosa farci”
“Farmi tante focaccine per farmi felice :-)
Anche la faccina che ride mi ci mette, chelopossino. La faccina di bronzo s’è inventato, ‘sto impunito. Il padre consegna comunque le racchette, mostra il cartellino giallo al colpevole di tanto trambusto, e mi riporta alla base. Evito di dettagliare sulla malabolgia che mi attende, al supermercato: posticipare la spesa di tre ore è stato esiziale.
In qualche modo, riusciamo a tornare a casa.
All’una e mezzo, il tennista rientra, garrulo e soddisfatto: “Mi sono divertito un sacco. Voglio continuare a fare tornei!”
“Sei vestito?” gli domanda il fratello maggiore, ironico “Ma non eri nudo?”
L’interessato ghigna di rimando, e si accinge a farsi un toast.
“Sappi che farò di te un post, domani!” annuncio io, con aria truce.
“Mamma, fai pure: comunque non ti scaldare tanto, che ho visto mille volte in situazioni analoghe …”
“Ma io la mia roba so dove trovarla! E a ‘sti livelli non ci sono mai arrivata…” tento di difendermi, già sapendo come finirà. Come sempre, da vittima mi trasformo in colpevole.
E difatti…
“La voce della verità!” interloquisce suo padre, cui evidentemente la rabbia è sbollita, e di sicuro non si fa sfuggire l’occasione per prendermi in giro.
“Anch’io sapevo dove trovarla, la mia roba. Difatti, ho chiamato te: tu sai sempre dov’è…”
“Ma ti devi organizzare prima, accidenti, non puoi farci correre sempre, e per niente, per di più!”
“Ok, ok, la prossima volta mi porterò a casa la borsa, di venerdì. La tessera è già dentro la tasca e il problema è risolto. E’ inutile, mamma: sono figlio tuo. Ho preso da te!”
“Grazie, Matteo, per queste cose che stai dicendo…” insiste Jurassico, confidando nel fatto s’impari di più con una bella risata che con una potente cazziata.
“Tu hai i tuoi difetti, papà ha i suoi, e io ho fatto un mix…”
“Scusa, scusa, scusa, di che difetti parli? Che difetti avrei io, adesso?” finge di risentirsi l’interessato.
“Sono uscito così: voi mi avete fatto, potevate farmi meglio!” conclude, senza dilungarsi oltre, il vigliacco, addentando il suo toast.
Mi domando davvero se mai guarirà: e ne dubito. Osservando me stessa e poi lui, mi convinco ogni giorno di più di avergli trasmesso qualche gene balengo.
Che vita, ragazzi, che vita...



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