Amnesia on demand


Soffro di amnesie.
A comando: per esempio, ieri non ricordavo di compiere gli anni. Peccato che, viceversa, la folla dei miei familiari si fosse segnato l’evento sui cellulari, che hanno iniziato a trillare da prima dell’alba.
Così, appena aperto l’occhio, mi ritrovo con un bacetto stampato in fronte: “Auguri, amore!”
“Grazie.” Sospiro desolato. “Certo che sto diventando sempre più vecchia: quarantasette! Sono un’enormità!” mi lamento, aggrovigliandomi al marito, in cerca di un impossibile conforto.
“Già. Mi sa che è arrivato il momento di cambiarti con due pollastrelle!” è la sua efferata risposta. Quando si dice rigirare il coltello nella piaga…
Mi irrigidisco, ritrovando un po’ di dignità, e rispondo, piccata: “Ah, lo sai allora che questa gallina qui vale ben due pollastre!”
Con una risata, mi spedisce fuori dal letto: “Cammina, va’, alzati: che ti faccio il caffè!”
Ecco. Quello mi ci vuole proprio.
Uscendo dalla camera, inciampo nel figlio numero due, appena sbarcato dal camper. Quello passa la notte lì: l’altro ieri, addirittura senza lenzuola nel letto. Le aveva cambiate, ma non sostituite: il prossimo step sarà dormire nella cuccia del gatto, in caldaia.
Il giovane mi abbraccia affettuoso, mi fa gli auguri, e si dilegua rapidissimo, diretto in facoltà. Quello è una meteora, nella mia esistenza.
Il gaglioffo, che viceversa è una tragica e costante presenza, mi concede le guance, per due rapidi baci, chiedendomi, con aria maligna: “Festeggi? Davvero? E cosa festeggi? Che sei diventata vecchia?”
Perfido. Questo qui mi dà per persa: nemmeno sul viale del tramonto. A sentire lui, sono già avvolta dalle tenebre: concetto già più volte squadernato in mia presenza, senza la minima pietà.
Riparto, ma la strada per arrivare al mio macchiatone è ancora lunga: la Miss mi si para di fronte. Truccata, lisciata e profumata come se stesse andando a una festa, mi saluta con un garrulo: “Il mio goffo e grasso tacchino! Auguri, pennuto!!!”
Scuoto il piumaggio, come da copione (dove sarà finita la mia dignità dottorale? Non è più nemmeno un ricordo…) becco l’ennesimo bacio e finalmente raggiungo la mia dose di caffeina: a questo punto, è una necessità vitale.
Il resto della mattina procede come di consueto, fatta eccezione per il fiume di auguri che tracima dal telefono, il cellulare e le pagine di FB. Meno male che ci sono gli amici.
In tarda mattinata, riprende coscienza l’animale notturno, che mi avvicina con molte precauzioni: “Si può...? O è meglio glissare?”
Sa che il rischio che mi offenda, per i riferimenti all’aggiornamento dei miei dati anagrafici, è concreto. Come tutti gli anni, sbaglia i conti, levandomi un paio di primavere: generoso, il ragazzo. Con aria consolatoria, dichiara: “Mamma, tranquilla. Te li porti benissimo. Uno non te ne darebbe più di quaranta, quarantadue… Come papà. Quello sembra un cinquantenne!” conclude, con orgoglio.
Salendo le scale, però, si mette a pensare ad alta voce, borbottando: “E invece… cavolo, quasi cinquanta e sessanta! Non riesco a capacitarmi di avere i genitori vecchi!”
Ecco, appunto. Non è l’unico: se non esistessero gli specchi, vivrei nella convinzione di avere venticinque anni.
Però, come si dice, l’importante è sentirsi giovani dentro: adesso vado a velare tutti gli specchi. Forse funziona.  

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