È una mattinata strana, molto lenta... Jurassico non è in forma, così siamo rimasti a letto tutta la mattina.
Suona il campanello.
Vado a rispondere, con i capelli un po' così e ancora in vestaglia.
È la postina, con due buste verdoline.
Sono indirizzate a Valentina e Andrea.
"Signora, firmi qui. Cosa metto... madre?"
"Sì . Madre. Con questa carta qui, lo sono anche sulla carta!" rispondo.
La postina mi guarda, un po' interdetta.
"Li ho adottati", spiego senza riuscire a trattenere un sorriso grande cosi.
Lei spalanca gli occhi, dicendo: "Ma che bella cosa...".
Sì. Proprio una bella cosa.
E ora... via, la piscina mi aspetta!
Il gaglioffo si arrangerà.
Madre sì, ma abbandonica. Forever and ever!
mercoledì 30 gennaio 2019
Notifica dal tribunale
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Notifica dal tribunale
2019-01-30T12:00:00+01:00
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madri e figli
domenica 27 gennaio 2019
L'altra suocera
Ok. Sono sempre stata una madre fuori dal
coro, non potevo che essere una futura suocera improbabile.
Intanto, se proprio dovessi scrivere ai futuri
coniugi dei miei figli, non farei distinzioni tra nuore e genero. Tutti quanti dovranno
vedersela con la mia ingombrante presenza, e non credo sarà una passeggiata,
per nessuno di loro.
La Mamma è sempre la mamma, specialmente
nel nostro caso, dove non ce n’è una sola, e l’unico che ne aveva una soltanto
si è sempre sentito uno sfigato.
Anche perché come mamma ho sempre lasciato
molto a desiderare: dopo averlo ripetutamente abbandonato all’asilo, a diciott’anni
l’ho traumatizzato, dimenticandolo nel parcheggio. Azionando l’allarme e costringendolo
ai venti minuti di immobilità più lunghi della sua vita.
Durante la mia non breve carriera materna, sono
stata variamente definita, da Crudelia
Demon a madre abbandonica,
passando da carrierista sfegatata a fancazzista disperata.
Abituata alle critiche a prescindere – onestamente,
chi lo prende sul serio l’amore di una madre posticcia? – ad oggi considero la
dichiarazione “Tu sarai la mia matrigna per sempre” la più bella frase d’amore ricevuta
negli ultimi dieci anni. Trovo del tutto normale essere chiamata Karly, quanto a Mamma Orsa, secondo me mi cade addosso meglio di un completo
Givenchy.
Lo sguardo d’amore assoluto con il quale mi
gratificavano sotto i dieci anni, abbracciandomi con un trasporto che non di
rado mi tirava per terra – il numero fa la differenza, nelle dimostrazioni
fisiche d’affetto – è stato sostituito da una bonaria forma di sopportazione
generale. Mi tollerano, insomma. Non drammatizzano quando mando a fuoco
qualcosa – ultima vittima, una presina. Ieri a pranzo – mentre mi zittiscono
tutti in coro, sul gruppo famiglia, quando accenno alle mie solite raccomandazioni
da Drama Queen.
Mi amano, ma da prudente distanza. Non
mantengono le distanze, ma studiano e lavorano distante. Che dite, lo considero
un segnale?
Del resto, io sono uguale. Ritengo il mio
migliore successo l’aver svuotato la nostra grande casa, senza cadere vittima
dell’insidiosa sindrome del nido vuoto.
Dirò di più: quando la Stamberga si riempie
di nuovo, il mio entusiasmo si spegne dopo nemmeno dieci giorni. Lo tsunami di
faccende che mi precipita addosso è in grado di spazzare via qualsiasi forma di
poesia. Non m’illumino d’immenso. M’incasino di brutto. Che suona molto peggio,
diciamolo…
E ora, parliamo di glitter, tulle e
dintorni, feticci di una femminilità di maniera da me sempre detestati, orpelli
che avevo giurato a me stessa di tenere a mille miglia dalle mie figlie femmine.
Fiera avversaria delle Bratz, le quali mai hanno varcato le soglie di casa mia,
ho dovuto fare i conti con una bambina che indossava solo scarpe sbrilluccicanti
Lelly Kelly, si cambiava tre volte al giorno sin dai tempi dell’asilo, e qualche
anno più tardi teneva alla sua collezione di Barbie almeno quanto io, alla sua
età, ero morbosamente attaccata ai miei libri. Una fanciulla che di smalto, ombretti
e cosmetici vari ha fatto prima una religione, poi una scienza. Figlia di una
mamma che della scienza faceva un gioco, da bambina, giocando al piccolo
chimico con l’Idrolitina, la carta da filtro e i contagocce.
Indomita, ho combattuto le differenze di
genere a suon di Dolce Forno regalato a tutti i figli, non prima di essermi
dovuta piegare alla versione orrorifica dello stesso, detta “La fabbrica dei
Mostri”.
Risultato?
Una figlia che ha preparato con orgoglio il
suo primo dolce alle mele a quattro anni, salvo dichiarare guerra a calorie e
padelle dai quindici in poi. Con tanti saluti alla piccola cuoca. Quanto ai fratelli,
c’è chi cucina meglio di me, chi reinterpreta i miei manicaretti producendo sbobbe
che nulla hanno d’umano, e chi ha fatto di pasta e carboidrati una ragione di
vita, aggiungendovi carne e verdure solo al fine di rimanerci, in vita.
Persuasa che l’autonomia sia madre dell’indipendenza
– soprattutto la mia, da loro – ho trasmesso loro tutti i reconditi segreti
della mia mitica torta delle rose. Hanno imparato a realizzarla a regola d’arte,
ma continuano a trovare molto più comodo farsela cucinare da me.
Infami.
Ergo, caro genero, amate nuore, se vorrete
la ricetta, sarò lieta di rivelarvela: sarei felicissima di passare a chiunque
di voi il testimone di chef preferito di Casa per Caso. Non so se qualcuno sarà
disposto a raccoglierlo, tuttavia: è un lavoro a tempo pieno, quando ci si
mettono. Il che mi fa pensare che nessuno, tra generi e nuore, si metterà mai a
gareggiare con me a suon di spadellate.
Che mi rimane da dire, dunque? Temo di avervi
disorientato, forse anche preoccupato.
Così, proverò a spiegarvi come Jurassico e
io abbiamo provato a crescerlo, il vostro The One.
Erano troppi, per soffermarci sull’apparenza.
Sarà per quello che, oggi, la Miss ne sa di fashion almeno quanto di codici e
articoli di legge, mentre i suoi fratelli girano tutt’ora con le maglie
sbrindellate, e guai a chi gliele tocca. Il nostro cervello in fuga è celato
sotto una chioma sempre scolpita dal barbiere con gli occhi a mandorla, mentre qualche
volta il barbiere sotto casa deve usare la falciatrice, con i suoi fratelli. Quanto
alla Miss, cambia il colore e la forma dei suoi capelli, ma non le cure
maniacali cui li sottopone.
Non so chi ti sia toccato in sorte dei
quattro, ma sappilo: noi non c’entriamo nulla, con quel che è diventato. Ognuno
ha deciso da sé quello che voleva diventare, e come desiderava apparire.
Noi due decrepiti abbiamo puntato tutto sulla
sostanza. E su quella, sì, puoi venire a presentare reclamo, se credi.
Abbiamo insegnato loro che l’intelligenza
emotiva vale da sola più di tutte le altre messe assieme. Per questo siamo
molto più fieri dell’educazione sentimentale che gli abbiamo inculcato, di
quella formale che siamo riusciti, a fatica, a lasciare filtrare.
Abbiamo spiegato loro che l’amore non si pretende,
ma si regala: è l’unico bene che più ne distribuisci in giro, più ti ritorna, e
pure con gli interessi. L’unico nostro investimento ad avere funzionato, sia detto
per inciso.
Abbiamo insegnato loro il rispetto per i
sentimenti, i diritti e le opinioni degli altri, ma anche il rispetto per sé
stessi. Motivo per il quale, ti avviso, non ti aspettare che si annullino per
amore. Sarebbe sbagliato, e sono fiera di dirti che ne sono tutti e quattro consapevoli.
Abbiamo mostrato loro quanto contino correttezza
e coerenza: gli alibi morali non funzionano a Casa per Caso. Nemmeno per noi vecchi.
Considerala una garanzia, ma anche un monito. Così, giusto per fare la suocera,
il che – considerato l’oggetto di questa lettera – ci sta.
Io, moglie di un Jurassico, ho insegnato
loro il valore dell’indipendenza, che passa anche attraverso una padella piena,
una casa pulita e una lavatrice svuotata prima che il bucato ammuffisca. Motivo
per il quale, tranquilla, nuora: farete le cose assieme. Il mio rampollo non si
limiterà ad aiutarti, di tanto in tanto, credendo di farti una concessione. Mentre
tu, genero, sappi che ho spiegato a mia figlia il concetto di pari valore, e quella
l’ha capito alla perfezione. Sappiti regolare.
Gli ho insegnato a governare una casa e una
cucina, spiegando loro che delegare non è peccato, ma funziona solo se le cose
le sai fare. Altrimenti rischi di rimanere fregato.
Gli ho insegnato il valore del duro lavoro,
delle lodi meritate e dei premi guadagnati. E questo lo posso già vedere: ha
davvero funzionato.
Detto tutto ciò, concludo, promettendoti
una cosa: non li tempesterò di telefonate, non vorrò essere al vertice della
piramide dei loro affetti, non li tormenterò chiedendo attenzione e proponendo
manicaretti in cambio di deferenza. Non mi impiccerò, non ti giudicherò, non ti
torturerò valutando ogni parola che dirai e ogni gesto che farai.
Se potrò esservi utile, mi renderò
disponibile: nei limiti, come ho fatto quando ero la mamma, e pesava quasi
tutto sulle mie spalle.
Sarò disponibile, comprensiva, cercherò di
darvi una mano e ti tratterò con tutto l’affetto di cui sarò capace. Esprimendolo
soprattutto nel modo che mi viene meglio: rimanendo FUORI DALLE BALLE!
Con affetto, la vostra futura
Suocera per Caso
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matrigna per sempre
venerdì 25 gennaio 2019
E siamo finiti anche noi in tribunale
Una delle tante famiglie che
approda al Palazzo di Giustizia, a ratificare a suon di carte bollate uno stato
di cose vissuto da anni, noto a tutti anche senza mai esserselo detto in
faccia, sempre uguale a sé stesso eppure sempre diverso, nella quotidianità del
giorno per giorno.
Un modo di essere e di
sentire diventato abitudine, e per questo dato quasi per scontato, senza
attribuirgli l'enorme importanza che ha, nei fatti.
Tuttavia... Data la mia
convinzione che, in certi casi, la forma sia sostanza, ho insistito perché la
faccenda fosse ratificata per legge.
E così, siamo finiti tutti
davanti a un Giudice; dopo un'attesa durata due anni - tanto ci è voluto per
catturare il nostro cervello in fuga - l'intera famiglia Per Caso è comparsa in
tribunale, perché la qui presente Mamma per Caso ha inoltrato formale richiesta
di diventare Mamma per Davvero.
Il giudice ha domandato il
consenso di Jurassico e del Gaglioffo, i quali hanno detto un SÌ così
deciso che mi pareva di essere a un matrimonio. Gli adottandi hanno prestato il
consenso, e siamo passati all'interrogatorio.
Con aria seria seria, quasi
ostile, il giudice mi apostrofa: "Signora Valentina, perché vuole adottare
i signori Per Caso?"
Avete presente sotto
interrogazione, quando ti chiedono come ti chiami e tu rispondi "non ho
capito la domanda..."? Ecco, uguale.
Mi ha presa di sorpresa,
chissà perché poi, e sono andata nel pallone. Così, ho farfugliato un po' di
pensieri alla rinfusa: "Mah... perché me li sono cresciuti come miei sin
da piccolissimi, Valentina addirittura dalla culla. Perché Matteo è un prodotto
on demand, me lo hanno chiesto loro, e sono cresciuti tutti come fratelli.
Voglio che siano fratelli al cento per cento, non solo al cinquanta. Perché
siamo una famiglia, molto unita tra l'altro, e credo sia giusto esserlo anche
sulla carta."
L'arcigno giudice ha
sorriso, sul bimbo on demand, ha scambiato due battute con il mio avvocato, poi si è messo a scrivere. Infine, mi ha detto
qualcosa, che non ricordo più, perché a colpirmi è stata la frase "Quando
le arriverà la sentenza. Buon giorno, signori". Il che ha messo il mio
cuore in stand by, fino a che non mi è arrivata - ieri - la copia della
suddetta sentenza.
(A proposito: è fatta,
finalmente!!!)
Me ne sono uscita dal tribunale con la testa piena di ovatta, mentre il quartetto mi sbertucciava
"Ma finiscila! Sono solo due firme su un pezzo di carta...".
Sapessero. Sapessero la
differenza che può fare, una firma messa sul pezzo di carta sbagliato... Ti può rovinare la vita,
mangiarti il futuro, ipotecare l'esistenza tua e di quelli che ami.
Ma, per fortuna, questo loro
non lo sapranno mai. L'unica cosa che sapranno è che questa firma li ha
resi miei figli, di fatto e di diritto, e che è finita la storia del "qual
è il suo?". Sono tutti miei, punto.
E mentre l'informatico fuggiva,
tornando di corsa alle sue impalcature virtuali, io fissavo i miei figli,
ripensando a quello che avevo detto. C'era qualcosa che non mi tornava. Era come se mi fossi dimenticata qualcosa... Poi, l'illuminazione: "Voglio che siano miei
figli".
Ecco, nella confusione in
cui ero precipitata, quello non mi era uscito.
Mi era uscito "Voglio
che siano fratelli".
Come sei io non c'entrassi quasi per niente, nella faccenda. Come se la famiglia fossero loro, i quattro dell'apocalisse, e io fossi solo uno sfondo, utile, ma tutto sommato sorvolabile.
E in effetti, è proprio così.
Perché in realtà è quello, il regalo
più grande che abbiamo fatto, Jurassico e io, a quei quattro ragazzi. Una
fratellanza forte, sicura, inossidabile e inattaccabile dagli eventi.
Regalare a Matteo i suoi tre
fratelli e ai tre piccoli un fratellino ha cambiato la nostra vita in meglio,
ci ha completati, ci ha reso il nucleo forte e il melting pot dove ognuno di
loro ha potuto crescere, cadere, rialzarsi, dare il meglio e anche il peggio di
sé, sapendo di non essere mai solo. Di poter contare su una famiglia che sa
supportarti, amarti e anche rimproverarti, se serve. Ma che c'è e ci sarà
sempre. Anche quando noi jurassici non ci saremo più.
E guardarli camminare
assieme, scherzando spensierati, mi ha resa la mamma (vera) più felice del creato.
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MPC
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16:17
E siamo finiti anche noi in tribunale
2019-01-25T16:17:00+01:00
MPC
genitori e figli|relazioni familiari|
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