Madri confuse

Un’amica mi commenta su Facebook, lamentando l’incoercibile disordine della sua prole: pare siamo in molte a condividere il problema.
Dall’immondezzaio a sentirsi un’immondezza il passo è – purtroppo – breve: come troppo spesso capita a noi donne, quando un figlio fa il muflone a sentirci in colpa siamo noi. Mica loro.
Noi, che riavvolgiamo il nastro della nostra esistenza, alla disperata ricerca dell’errore alla base del disastro che campeggia davanti ai nostri occhi.
Noi, che dopo mille tentativi falliti di farli ragionare, ci siamo sentite rivolgere le più fantasiose accuse: talvolta velate, più spesso fin troppo esplicite. E magari ad accusarci erano proprio i nostri giovani carnefici…
Nella mia qualità di matrigna, posso testimoniare che la tendenza a gettar la croce addosso a mammà è addirittura più diffusa di quanto si pensi: se con una madre naturale la gente tace anche se dissente, con una matrigna si permette di esternare. E di insegnare, soprattutto quello che non sa fare.
Fatevelo dire da un’esperta: guardatevi dai buoni samaritani. Quelli che sanno sempre cosa sarebbe giusto fare, dire e pensare, e purtroppo ritengono loro dovere rendertene edotto.
Nella mia vicenda materna, ho ricoperto troppi ruoli per non averlo capito: non ne facciamo una di giusta.
Sono stata mamma lavoratrice, trovando ugualmente il tempo e il modo di seguirli; sono stata una mamma troppo impegnata col lavoro per seguirli; sono stata una mamma che ha lasciato il lavoro e li ha seguiti; sono una mamma che non ha modo di lavorare e li segue sì, ma da moooolto distante.
Ebbene, mi sono sentita dire che: è sbagliato relegare i figli al secondo posto, dopo il lavoro, e poi che è un errore mettere i figli al centro del nostro mondo, perché non abbiamo un lavoro; che è un errore seguirli troppo (si diventa la loro stampella), ma che se non li si segue si perdono.
Se cerchi di supportarli sei invadente, se li lasci far da sé abbandonica; se cucini, lavi, stiri e pulisci per loro tutti i giorni non li rendi autonomi; quando però stai fuori a pranzo o a cena, o ti concedi un fine settimana fuori porta li trascuri.
Visto? Non va MAI bene.
La realtà è che ognuno è arbitro del proprio destino: possiamo intervenire sui nostri figli, far loro notare i loro errori e i loro difetti, aiutando a rimediare ai primi e a governare i secondi.
Non potremo mai trasformare un figlio in qualcosa che non è: non proviamoci nemmeno. Dovessimo mai illuderci di esserci riusciti, sarà perché l’infingardo starà recitando una parte per tenerci buoni.
Non diciamo mai: mio figlio? Mai!!!
Nostro figlio sì, invece. Come tutti, in certe circostanze, sotto determinate pressioni, per motivi spesso inesplicabili combinano qualcosa di incredibile. Oppure si comportano in modo insopportabile.
Predichiamo al vento per anni e anni, senza cavare un ragno dal buco.
A suon di bastonate, li obblighiamo a far un passo avanti. E quelli, appena giriamo lo sguardo, ne fanno quattro indietro.
Il nostro è un compito ingrato, perché subiamo sulla nostra pelle tutti gli insuccessi, le fasi di stallo, i regressi e i momenti bui. Soffriamo perché li vediamo soffrire, ci preoccupiamo perché temiamo per loro un futuro pieno di insidie.
Poi, d’improvviso, scatta qualcosa dentro di loro: smettono di essere indulgenti con se stessi, non si guardano più attorno alla ricerca di colpevoli, focalizzano i loro problemi e si danno da fare per risolverli. E ci riescono, mannaggia! In quattro e quattr’otto realizzano tutti gli obiettivi che per anni a noi sono sembrati irraggiungibili chimere. Cambiano atteggiamento e comportamento,  diventando proprio quello che avremmo sempre voluto che fossero.
Peccato che spesso capiti quando ormai sono fuori dalla nostra sfera di influenza, se non addirittura fuori da casa nostra. Così non riusciamo nemmeno a goderci il frutto del nostro impegno.
Perché? Perché danno il meglio di se stessi quando ci allontaniamo gli uni dalle altre? Siamo madri dannose?
Non credo. O forse spero di no.
Comunque sia, mi sono convinta di questo: noi genitori non possiamo regalare a un figlio la determinazione a migliorare. Però possiamo insegnargli come fare. Non lo dobbiamo giustificare, dobbiamo insegnargli a prendersi le proprie responsabilità e dobbiamo lasciare che paghi i suoi errori. Dobbiamo essere giusti, dobbiamo saperlo valutare senza giudicarlo, insegnargli a vivere senza imporgli il nostro modo di vivere. Possiamo suggerirgli un metodo, lasciandolo tuttavia sperimentare strade a noi sconosciute.
L’importante è che ci senta sempre vicini, affettuosi, disponibili.
Un giorno le cose cambieranno. Un giorno aprirà gli occhi, e ci sarà grato per essere stati sempre presenti. Un giorno tirerà fuori dal cassetto tutti i nostri consigli e seguirà quelli che gli saranno più utili.
Si ricorderà anche dei nostri errori: perché di errori se ne fanno. Però se questi errori saranno stati commessi in buona fede, mettendo sempre l’interesse dei nostri figli in cima ai nostri pensieri, se ne renderanno conto. Considerato quanto dobbiamo lavorar di spugna noi con loro, voglio vedere se non ci restituiranno il favore!


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