Visita oculistica con sequestro

Dedico questo post a chi pensa che i miei figli siano fortunati, ritrovandosi una mamma come me. Forse comprenderete il motivo per il quale gli interessati non condividono affatto tale convincimento.
Mpc e il gaglioffo stanno tornando dalla annuale visita presso l’amico oculista: registriamo un ulteriore calo della vista del giovane (se non smette di crescere, questo, mi arriva al bastone bianco…) e ci dirigiamo verso casa, chiassando in auto come nostro costume.
I tragitti condivisi sono occasione per sfottò l’uno contro l’altra, battute al vetriolo e colpi di mannaia all’autostima reciproca. Il fatto di uscire vivi da quell’abitacolo è la prova che le parole non uccidono: non sempre, almeno. Se ci si scuoia reciprocamente con ironia e senza essere cattivi dentro, ci si possono dire ogni genere di atrocità.
Giunti nei pressi della cooperativa agraria, mi sovviene che Jurassico mi ha chiesto di comprargli i semi per il prato: freno in modo abbastanza repentino e parcheggio, ignorando le vivacissime proteste del mio compagno di viaggio, impaziente di tornare alla base.
Tanto lo ignoro da sorvolare sulla sua presenza stessa: scendo dall’auto, mentre lui mi strilla “Ti aspetto in macchina. Muoviti!” e in una decina di minuti porto a termine la commissione per il consorte.
Avviandomi verso l’auto, noto che il giovane mi sta dedicando un ironico applauso.
Lo saluto con la mano, per poi raggiungerlo, riprendendo il posto di guida.
“Gande, mamma! Grande…”
Altro applauso.
“Embe’? Che vuoi?”
“Complimenti! Sei una forza: mi hai chiuso in auto…” dichiara, fulminandomi con lo sguardo. 
Mi sei ferma il cuore. E' vero! Ho usato il telecomando, stordita che non sono altro...
“Ooops… Forza dell’abitudine. Scusami…”
“Scusami? Ma ti rendi conto? HAI INSERITO L’ALLARME!”
“Ossignore, è vero…” belo io, rendendomi conto appieno della fesseria testè compiuta.
“Sono rimasto rinchiuso in auto, al sole: in più, se mi muovevo scattava l’allarme! E’ partito almeno sette volte!!! Possibile tu non l’abbia sentito?!”
Grazie al cielo sono le sei di sera. Almeno non l’ho fatto al forno, povero ragazzo.
“No. Dentro non si sentiva niente…” spiego. Anche se non c’è giustificazione per ciò che ho fatto.
“Beh, fuori si sentiva eccome. Tutti si giravano verso di me e mi guardavano strabiliati. Se muovevo una mano, partiva la sirena. Ho cercato di spalancare le portiere, ma erano bloccate. Il condizionatore – ovvio – non funzionava e faceva un caldo da crepare. Sono stato costretto ad appiattirmi sul sedile, immobile, sudando come una grondaia, sperando che tu ti dessi una mossa. Si può essere più svegli di così?!”
“In effetti…” concordo io.
“Tu sei da rinchiudere!” protesta. E a ragione, aggiungerei. Fosse stato un bambino, gli astanti avrebbero allertato i carabinieri; si fosse trattato di un cane, la protezione animali. Essendo la vittima del sequestro (di tale reato si tratta: mio figlio mi potrebbe denunciare…) un marcantonio di un metro e ottanta, si sono limitati a trasecolare. Mi è andata bene, dopotutto.
Continuo a guidare, mentre  Matti mi travolge con i dettagli della sua avventura, facendomi ridere a crepapelle. Quello dovrebbe fare Zelig, giuro. La cosa magnifica di mio figlio è che, qualsiasi cosa io combini, non si arrabbia: giura di essere preda di un nervoso incontenibile, ma la butta sempre sul comico, senza mai prendersela con me. Eppure, di ragioni per attaccarmi al muro ne avrebbe. E più di una, mannaggia a me…
Avanti, ragazzi. Lapidatemi: stavolta me lo merito.





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