Professione: mistificatore

Mi sto convincendo che si tratta di una categoria umana: che abbiano un piede nella fossa o ancora il latte sulla bocca, certi personaggi si comportano sempre nello stesso modo. Di volta in volta, i loro cari  attribuiscono questi comportamenti all’età, alle circostanze, o a entrambi.
Balle.
La verità brucia: il motivo è tutto lì.
Affrontarla a viso aperto, accettarla per ciò che è, in tutti i suoi risvolti (anche i più scomodi), facendo fonte alle conseguenze delle proprie azioni, opinioni e comportamenti, è difficile.
Molto, molto più facile addomesticarla, creandosi nel contempo delle giustificazioni per lavarsi la coscienza.
La menzogna non è mai usata per ottenere qualcosa di ghiotto, per evitare qualcosa di scomodo, per nascondere una pecca.
Per carità: la bugia, l’omissione, la versione riveduta e corretta degli eventi sono dette per preservare la pace. In famiglia, tra amici, sul posto di lavoro: se tu avessi saputo, ti saresti arrabbiato. Arrabbiarti ti fa male e rovina l’armonia: meglio evitare, no?
Degno di nota il fatto che questi difensori della pace sono i primi a voler credere a ‘sta bubbola: si sentono quasi vittime delle circostanze. Costretti a mentire per non fare del male agli altri.
Di comportarsi in modo corretto, mantenendo la trasparenza, non se ne parla.
Ne ho incontrati parecchi, e quasi sempre stavano seduti su un ammasso di rovine fumanti.
Poi, ci sono le giustificazioni, le scusanti, le circostanze attenuanti: è colpa del cumulo eccessivo di lavoro, del professore o del capo autoritario e incapace, del pessimo programma, delle tasse esagerate, della burocrazia e della sfiga che mi perseguita da quando sono nato. Ci sono persone che, di fronte alle difficoltà, tirano fuori il meglio di se stesse: il mistificatore ne fa un alibi per comportarsi di male in peggio.
E' capace di danneggiare figli, genitori, il coniuge, gli amici, i colleghi e chiunque abbia la sventura di porsi tra lui e i suoi scopi, senza nemmeno rendersene conto; salvo atteggiarsi, quando scoperto, a grande incompreso.
Poverini, meriterebbero tutta la nostra condiscendenza: credevano di far bene, e hanno fatto del loro meglio. Che poi del loro meglio  non sia abbastanza, è cosa del tutto irrilevante: questi pretendono un premio alle intenzioni.
Un riconoscimento alla buona volontà: l’impegno andrebbe premiato, sempre e comunque. Anche quando è discontinuo, intermittente, insufficiente; e quando le buone intenzioni sono più sulla carta che reali.
In più, se non stai più che attento, costoro ti rovesciano addosso la responsabilità dei loro fallimenti: se credevi fortemente in loro, spronandoli a fare del loro meglio, li hai schiacciati con le tue aspettative. Se stavi a vedere che combinavano, senza commenti, non li hai incoraggiati abbastanza. Soggetti così, se lodati si sentono autorizzati ad adagiarsi sugli allori; se non lodati non si sentono abbastanza apprezzati e si disincentivano. Idem dicasi con i premi, i riconoscimenti, gli avanzamenti di carriera.
Se uno è pigro e indolente, trova sempre un perché per non impegnarsi. E qualcuno cui attribuire la colpa della sua demotivazione.
Stesso discorso per la fiducia: gliela concedi? T’imbrogliano. Se le conseguenze del loro imbroglio ricadono su di loro, ti senti dire che, in fondo, speravano tu te ne accorgessi.
Tanto in fondo, però: perché alla superficie erano più sfuggenti di anguille, quando cercavi di bloccarli per indurli a diventare onesti e produttivi.
Se sei una specie di agente della Stasi e sottoponi a controllo tutti i loro movimenti, un comportamento così malfidente li spinge a moltiplicare i loro sforzi per sfuggirti. Di più: l’eccesso di controllo è PROPRIO ciò che li ha spinti verso il gorgo che ha finito per inghiottirli.
In medio stato virtus, dicevano gli antichi: alla luce della saggezza dei tuoi antenati, giochi la carta della fiducia, limitandoti a una sorveglianza di massima, senza eccessi polizieschi.
Quelli ti prendono per scemo e te la raccontano, facendo i loro porci comodi: salvo poi scoprire, quando è troppo tardi, che avevi ragione tu a suggerire di fare le cose in modo diverso.
L’ultima spinta negativa, la presunzione: quella è un disastro. Lo è nei giovani, perché sono inesperti, lo è negli anziani, perché l’esperienza non è tutto. Ci vogliono anche intuito, aggiornamento, buon senso e riflessione. E lavoro, lavoro, lavoro: i buoni risultati non si creano da sè.
La capacità di autocritica è fondamentale per riuscire nella vita: ma il mistificatore non si mette mai in discussione. Arciconvinto di essere sempre dalla parte della ragione, mette viceversa in discussione gli altri: anche e soprattutto quando i loro risultati sono migliori dei suoi. Se sono più bravi di lui è sempre, solo questione di fortuna. E che non si permettano di dargli suggerimenti o far notare gli errori più eclatanti: quella è crudeltà mentale. Una cosa che lo spinge a sbagliare,  mentire, imbrogliare.

Come genitori, quando cogliamo un figlio in fallo in questo senso, attiviamo una serie di contromisure quasi cruente: meglio che, finché sono ancora sotto la nostra giurisdizione, capiscano che la menzogna non paga. Abituarli ad affrontare le conseguenze delle loro azioni, anche se questo significa punirli pesantemente, dovrebbe far loro passare la voglia di intraprendere nel futuro la professione appena finita di descrivere.
Quelli che non sono stati fermati da ragazzi, prima o dopo hanno pagato tutti i conti: interessi inclusi, purtroppo. Se posso evitare che succeda a uno dei miei figli, onestamente preferisco.
Chiedete se è vero al gaglioffo, quando tornerà in possesso del suo computer…
Ahimè, com’è dura la vita del genitore. Meglio che vada a far la spesa, va’.

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