Turisti per Caso


Tutto regolare, per fortuna. Non mi sono distinta per balordaggine, non ho provocato cataclismi, mi sono comportata come una persona normale. O quasi.
Appena arrivata, ho fatto accomodare la mia amica in salotto, offrendole qualcosa da bere: ero fermamente decisa a comportarmi una perfetta padrona di casa. Magari un po’ orrenda, perché appena rientrata dalla piscina, ma una vera signora, nei modi.
Proprio in quell’istante, Corradino ha tentato un’incursione attraverso la finestra dischiusa, frignando a gran voce. Poiché tale manovra è stata iniziata a spese della mia tenda, artigliata di brutto dalla bestiaccia, mi sono esibita in un ruggito improvviso, degno del re della foresta: la mia malcapitata ospite per poco non ci rimane secca.
In dubbio se alle sue spalle si fosse materializzato un serial killer (in effetti, un killer quel gatto lo è: di elementi di tappezzeria, magari, ma è un distruttore nato) o se ci fosse un serpente in salotto, ha avuto un mezzo attacco cardiaco. Un altro po’ e mi tocca rianimarla.  
Il dubbio relativo al serpente deriva dal fatto che, l’ultima volta che era stata da noi, Poppi aveva in effetti omaggiato la meschina di una biscia. Viva.
Devo dire che questa donna dimostra un notevole coraggio, a continuare a frequentare la Stamberga.
Comunque sia, dopo questo inizio un po’ traumatico, la nostra è stata scortata in lungo e in largo per la Pedemontana, a caccia di ville palladiane e capolavori del Canova, senza omettere qualche sosta presso i tradizionali localini dei colli. Tra frittata al formaggio, porcini fritti, prosecco fermo e biscottini fatti a mano, la mia dieta dopo-vacanza inizierà il giorno di San Mai. Sono un’infame peccatrice, lo ammetto.
A Villa Emo, in particolare, ci è stata riservata un’accoglienza alternativa: da dietro un cespuglio, hanno fatto la loro comparsa due orecchie lunghe così. Naso vibrante, occhio sbarrato, una lepre si è affacciata, dieci passi avanti a noi: per poi darsi precipitosamente alla fuga, quando si è resa conto di avere compagnia. Un’hostess decisamente fuori del comune.
Sempre a Villa Emo, abbiamo visitato anche uno di quegli agghiaccianti negozietti di souvenir, immancabili in qualsiasi museo, sito archeologico o luogo di culto particolarmente famoso. Uno di quei posti capaci di violentare capolavori immortali, trasformandoli in grembiuli da cucina o tazze da the. Aggirandomi tra penne, matite, cartoline, libercoli e ammennicoli di vario ordine e grado, indossavo una faccia critica, stile “roba da giapponesi…”, fino a che non l’ho vista. Era lì, troneggiante: il souvenir perfetto. Perfetto da comprare, perfetto da regalare.
Vino!
Ebbene sì, sono riuscita a procacciarmi qualcosa di alcolico persino in circostanze culturali: un rosso prodotto in loco, nella tenuta della villa. Il fatto che fosse venduto a metà prezzo non depone a suo favore: tuttavia, non ho saputo resistere. Ne ho acquistati due esemplari, regalandone uno alla nostra ospite, nella speranza che non si tratti di un colossale bidone. Quando lo assaggio vi dico.
Jurassico è stato magnifico: per due giorni ci ha portate qui e là per i colli, facendoci da autista e da cicerone, scovando il meglio sotto tutti i profili, paesaggistico, culturale e gastronomico.
Però, ha avuto anche lui la sua brava soddisfazione: un signore – titolare di una Audi, tra parentesi – si è messo a far la ronda attorno al nostro squalo, davanti al tempio del Canova, a Possagno. Da vedere la faccia di Jurassico: sembrava un papà orgoglioso, mentre il tizio si sperticava in complimenti per la sua auto nuova.
Mio marito è decisamente innamorato, di quella macchina: stamattina, quando mi ha visto scendere dall’auto, dopo essere andata a far la spesa, mi ha indirizzato un sorriso tenero, dicendo: “Non so se sia più carina l’auto o quella che la guida…”
Ho deciso di prenderlo come un complimento. Però non è mica normale, questo qui. Per niente.








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