Una tre giorni ineguagliabile

Tre giorni. Ben tre giorni lontano dalle belve, dalle lavatrici, dai gatti e – persino – dal web.
Qualcuno aveva malignamente ipotizzato che non ce l’avrei mai fatta, a tagliare i ponti con la rete: questi dubbi sulla mia resistenza mi offendono. Io non dipendo dal PC. Posso farne a meno quando voglio. Non è una forma di assuefazione, figuriamoci.
Difatti, tanto sono sicura di me stessa… da lasciare a casa il portatile.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: unico modo per evitare tentazioni e per fare felice Jurassico, titolare di nuovo dell’esclusiva sull’attenzione di Mpc. L’uomo sta diventando un po’ geloso della mia vita virtuale. Cosa che non mi dispiace per nulla, sia detto per inciso: mai essere scontate, con gli uomini. Meglio tenersi sempre qualche spazio personale, dove la loro giurisdizione sia  sospesa: a quelli fa un gran bene, secondo me. Come anche ai figli, a dire il vero.
Comunque sia, ragazzi, è stata una meraviglia. Sul serio: un fine settimana da sogno.
Non solo perché siamo stati al mare, e un cetaceo come la sottoscritta appena fiuta il salmastro si rianima, ma soprattutto perché siamo stati ospiti di persone davvero splendide.
Avete presente quei rari esemplari umani che, dopo dieci minuti trascorsi in loro compagnia, ti sembra di conoscere da sempre? Quegli ospiti favolosi, capaci di metterti talmente a tuo agio da farti sentire davvero come a casa tua?
Ecco, noi ci siamo sentiti esattamente in quel modo, e siamo stati fatti oggetto di un’ospitalità d’eccezione.
In più, il gruppo si è affiatato benissimo: complice l’ottima cucina e i vini DOC – di nome e di fatto – la convivialità si è scatenata. E son stati dolori: per i nostri ospiti, ai quali abbiamo azzerato le scorte alimentari e vinicole, e per il nostro skyline. Siamo ritornati con il profilo mutato: uno di noi ha mostrato gli addominali alla moglie, che gli ha chiesto se fosse il caso di fare la morfologica.
Quanto alla sottoscritta, sono stata accolta dai figli, al mio rientro, con grida di orrore: il gaglioffo mi ha strillato di levarmi il vestito che indossavo, che facevo impressione. La Miss ha dichiarato per me lo stato di dieta, causa trippetta, mentre il filosofo mi ha domandato, meditabondo: “Ma come è possibile ridursi così, in soli tre giorni…?”
L’unico a non porre alcuna domanda è stato l’informatico: impegnato in una lotta senza quartiere ai chili di troppo accumulati negli ultimi due anni, è costretto al silenzio stampa. Il che non implica un suo disaccordo con i fratelli: è oggettivo. Mi sono spanzata. In vari sensi.
Quanto ai quesiti esistenziali del secondogenito, il disfacimento fisico a tempi di record non è una mera ipotesi. E’ una ponderosa realtà.
Se non riesci a tenerti lontano dal pane e derivati  – che ti fanno poi venire una sete quasi inestinguibile – se ti divori un oceano di pesce, variamente cucinato, senza avanzare mai un boccone di nulla, è più che possibile ridursi così.
Se ogni tanto la padrona di casa si infila in un armadio, e ne esce con mezzo chilo di un salume giunto per direttissima dal Paradiso, tu non riesci a tenere le mandibole al loro posto. Le usi e ne abusi.
Chiariamo: queste non sono le cronache di Narnia. Non siamo finiti in un luogo magico dove c’era un reame intero, dentro a un armadio. Era un luogo magico dove una fata teneva una affettatrice dentro al suddetto mobile, e la usava con una frequenza imbarazzante.
Anche perché, quando dichiarava di partire per una spedizione affettosa, nessuno faceva il cenno di fermarla. A due ore di distanza dall’ora dei pasti, rilasciavamo dichiarazioni stentoree sulla nostra intenzione di nutrirci di sola frutta: all’ora canonica, ci tuffavamo letteralmente sulle derrate alimentari. Roba da vergognarsi. Le abbiamo divorato tutta la culaccia. Il nome del salume da noi combattuto e sconfitto è altamente evocativo, come si può osservare: avremmo dovuto aspettarcela da subito, la fine che avremmo fatto.  
Oltre ai sopra descritti eccessi, la qui presente cavernicola si è fatta notare per la sua consueta eleganza e raffinatezza: nelle operazioni di carico e scarico di un abito, parcheggiato momentaneamente in salotto, prima di essere trasportato in albergo, ho ben pensato di abbandonare alle mie spalle un paio di mutande e un reggiseno, sfuggiti dal suddetto involto. Una pollicina da dimenticare. Pazienza quando mi perdo gli indumenti intimi in piscina: rovistando sotto le panche, di solito li trovo. Ma in casa d’altri queste cose non si fanno… Non mi sono suicidata solo perché i padroni di casa sono dei veri signori, e se anche le mutande me le fossi messe in testa, non avrebbero fatto un plissè. Diversamente, mi sarebbe rimasta solo canna del gas, per superare l’imbarazzo.
Una menzione speciale la merita la nonna della situazione. Una donna fantastica, capace di risponderti, quando ti rivolgevi a lei con un signora Franca: “La signora è rimasta a casa. Qui c’è solo Franca!” Simpaticissima, mai ferma, cuoca magnifica e commensale simpaticissima. Una vera forza della natura.
Ci ha sentito parlare di multiterapia e dei rischi dovuti all’associazione tra farmaci: “Qui marca male…” ha borbottato. Per poi sottoporre all’attenzione degli operatori sanitari presenti il seguente quesito: “Io sono una che rischia?”, mostrandoci la più perfetta busta dei farmaci che io abbia mai visto in vita mia. E garantisco di averne viste parecchie, nel mio passato farmaceutico.
Un capolavoro di compliance: la paziente ideale.
Oltre a essere la nonna, la mamma e la suocera che tutti vorremmo: ho chiesto di poterla adottare. Anche a tempo determinato, anche solo per un brevissimo periodo: niente da fare. Sarà che prepara delle melanzane alla parmigiana da svenimento – non c’è nemmeno bisogno di dire che ce le ha cucinate… -  sarà che potrebbe andare a Zelig, per le sue battute, pare sia contesa dai nipoti, adorata da figlia e genero,  e che non ci sia spazio per parenti d’accatto. Un vero peccato, ve lo garantisco. 
E ora, gente, afferro la bici e vado. E' giunta l'ora dello smaltimento.

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