Kids o no kids, questo è il dilemma

Premessa: i bambini mi piacciono. Se non mi piacessero, non sarei di certo diventata Mpc.
Tuttavia… ci sono momenti nei quali comprendo come mai il volume d’affari dei pacchetti “vacanze no kids” sta eguagliando quello dei “pacchi famiglia”. Che sono pacchi soprattutto per i poveri cristi che se le vedono planare accanto, le suddette famiglie.
No: non sono diventata razzista, solo perché i miei figli sono cresciuti. Ho letto un articolo di giornale e assistito a una scena patetica in piscina, che poi vi descriverò.
Parliamo di vacanze, dunque: vacanze con i nostri bambini. E con quelli degli altri, ahimè.
Esistono le soluzioni “animate”: offerte da villaggi, alberghi e resort, creano molto lavoro per giovani animatori, che di fatto levano i kids dai piedi degli esausti genitori, ansiosi di godersi qualche ora di pausa dal mamma-uffa-quantomanca-hofame-freddo-sonno-sete-miscappalapipìmammamamaaaaaaa! Se i vostri non fanno così, in ferie, consideratevi miracolati: ci hanno intitolato anche un sito per genitori aspiranti vacanzieri, al “quantomanca”.
Lo so: ci sono anime belle che inorridiscono, di fronte a queste scelte. Se non stiamo con i nostri figli durante le ferie, quando li frequentiamo? 
Concordo. Solo in parte, però. 
Frequentarli per troppe ore di seguito può essere distruttivo: dopo quindici giorni di full immersion nel mondo-bambino, un adulto avrebbe bisogno di un soggiorno in camera di decompressione. Credetemi, sono un’esperta: quelli ti comprimono tempi, spazi e cervello.
C’è bisogno di qualche sano momento di stacco, anche in vacanza: personalmente, ho sempre puntato sull’opzione “casa con giardino”. Li governavo, accompagnavo in spiaggia, sorvegliavo i loro giochi, mi lanciavo, assieme al loro padre, in partite di bocce, biglie, volano e beach volley. Sguazzavo nell’acqua con loro come mamma anatra, giocando a “motoschifo” e insegnando loro a galleggiare. Ci divertivamo tanto, tutti assieme. Però, dopo, ce li dovevamo levare di dosso per un po’, pena la perdita della ragione. Li sguinzagliavamo quindi nel recinto, osservandoli da distante, e respiravamo un po’: siamo sopravvissuti. Noi, e anche loro.
Va da sé che non li portavo quasi mai a mangiar fuori: per ragioni di ordine economico e anche pratico. I bambini soffrono, seduti a tavola per ore: ergo, i casi sono due. O li controlli – e sudi sette camicie tu – o li lasci allo stato brado, e sudano sette camicie i tuoi vicini di tavolo. Va da sé che noi abbiamo inzuppato numerosi capi di vestiario, quando i nostri rampolli erano minori: la cosa irritante è che adesso ci capita lo stesso. Pare che gli attuali titolari di figli bambini tengano molto al loro guardaroba.
Pensare a trascorrere gli unici giorni liberi condividendo i propri spazi con dei piccoli selvaggi, abbandonati ai propri istinti dai distratti genitori, può far inorridire più di qualcuno. Gli astuti operatori turistici l’hanno capito e si sono organizzati di conseguenza. Come dar loro torto? E come dare torto a chi non sopporta l’esondazione minorile?
E veniamo all’episodio in vasca, risalente a ieri mattina.
Due nani, di età compresa fra i quattro e i sei anni, sono stati rilasciati in piano vasca dalla madre, elegante bionda, carina e titolare di abbonamento alla piscina più esclusiva del nostro paesotto. Un posto tranquillo, circondato dal verde, integrato in albergo quattro stelle, dove la gente paga per non tuffarsi in un brodo primordiale, esser punta dalle api e calpestata da orde di adolescenti allo stato brado. L’alternativa alla struttura suddetta è quella appena descritta.
La signora si sdraia sul lettino, mentre la sua discendenza calza i braccioli, si arma di tavolette di galleggiamento – la bardatura fa ritenere che non siano esperti nuotatori, tra l’altro – e raggiunge l’acqua. Questa ha la temperatura di un Martini on the rocks: le avverse condizioni ambientali non scoraggiano i due paperotti, che si tuffano pieni di entusiasmo, emettendo la stessa colonna sonora di una colonia di pinguini, in fase migratoria. La madre, viceversa, ha la medesima reattività di un’orsa in letargo. La qui presente domatrice di belve, viceversa, ha già il prurito alle mani. La performance minorile si prolunga per qualche minuto, fino a che il più piccolo inizia a piangere in quadrifonia stereo, levano strazianti urla al cielo. Un cielo terso, azzurro, senza una nuvola: il resto dell’utenza può contare persino su una lieve brezza, che accarezza le nostre stanche membra. Tutto sarebbe perfetto, se le orecchie non ci sanguinassero.
Mamma orsetta insiste a rimanere mimetizzata con il suo lettino.
Il bagnino, ufficialmente preoccupato per l’incolumità dei due babbuini, raggiunge il bordo vasca, intimando ai giovani primati di uscire dall’acqua. I due non se ne danno per intesi.
Il letargo della giovane mammina conosce una brusca interruzione: scatta in piedi, mandando lampi minacciosi dal piercing all’ombelico.
Affiancata al bagnino, inizia a berciare a sua volta, ordinando ripetutamente ai giovanotti di riemergere. Nulla da fare. L’argomento che convince – finalmente – le due foche a tornare a secco è il seguente: “Avete sentito? Vi ha detto fuori! E’ lui il capo della piscina!”
Introiettato il concetto di capo, l’“Ubbidisco!” è di rigore. Il duetto si conclude, con proteste ringhiate tra i denti e due musi lunghi così.
Capito che il bagnino è il capo della piscina, a me è rimasto il dubbio di chi sia il capo dei nani. Poiché, tuttavia, essi sono stati ridotti all’impotenza, è un dubbio poco tormentoso, dopotutto.
Un papà passa, poco dopo, in compagnia di un giovanotto assai allegro: “Oggi mi perfeziono nello stile seppia!” dichiara quest'ultimo, ridacchiando.
Questo qui mi pare simpatico.
Infatti... parte per un accenno di corsa, subito stoppato dal solito castigamatti: al primo richiamo, il fanciullo si blocca, intimando lo stop anche all’amico che correva con lui. La condivisione delle responsabilità, unita alla minaccia di finire appesi all’ombrellone come salami, ha fatto il suo sporco lavoro.
Ahhh, i metodi montessoriani… Quanto li adoro!

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