Meglio rassegnarsi


Vabbe’. In fondo ero preparata: una lo sa che quando torna dalle ferie deve lavorare per tre. Però questa famiglia riesce sempre a superare le mie più fosche aspettative.
Stavolta, i colpevoli sono i gatti: il marito, corso a salutarli mentre io preparavo la nostra cena, torna giù con la faccia di circostanza.
“Credo tu debba andare di sopra con qualcosa.”
“Qualcosa, cosa?”
“Qualcosa per pulire. C’è cacca sparsa un po’ dovunque.”
“AAARRRGGGGHHHH! Che schifo! Ma che sarà successo?!”
“Hai voluto i gatti? Eccoti servita…”
“Saranno stati male: è la prima volta che succede!”
“Niente affatto. Si comportano come i bambini: tu li abbandoni e loro protestano come possono. Vergognati! ”
“Finiamola, per favore. Che tu ti metta a fare lo strizzacervelli ai mici mi pare pure troppo. Dammi la scottex, Freud, che vado a dare una pulita!”
Con un’occhiata di sdegnoso rimprovero, mi porge quanto richiesto. Mi mancava un paladino della Carta dei Diritti del Felino, stasera.
Che rientro in grande stile.
Ci sono zampate in tutto il bagno e l’antibagno: è dai tempi dei pannolini che non vedevo tanto materiale tutto assieme. Rimedio in qualche modo, per dedicarmi quindi alla prima delle numerose lavatrici che mi attendono.
Il marito, che fa l’avanti e indietro scaricando il camper, mi coglie sulle scale, impegnata a smistare biancheria sporca. Occupo l’intera rampa.
“Che casino, amore, eh? Quanto si lavora, dopo le vacanze! Però ne è valsa la pena, vero…?” mi dice, strizzandomi l’occhio. Risultato: continuo a sollazzarmi tra mutande e calzini sporchi, però esibisco l’aria sognante di Cenerentola al ballo del Principe. Vedi tu che scema.
Meno male che incappo nei suoi jeans, che mi riconducono all’istante alla realtà.
“Posso eliminare ‘sti stracci?”
“Mhm…Non è che si possano riparare…?”
“Non mi chiedere di rattopparteli: mi rifiuto. Sono consunti!”
“Ma mi dispiace buttarli… Ci sono affezionato!”
“Sì, siamo arrivati al legame affettivo con i calzoni sdruciti, adesso. Spero che conserverai questo atteggiamento, anche quando ad essere sdrucita sarò io. T’informo ufficialmente che questi finiscono in pattumiera!”
Sospiro rassegnato.
“Va bene. Ma ne dobbiamo comprare degli altri, allora.”
“Certo che sì. Dici che non troviamo un paio di jeans in vendita, da qualche parte? Temi che ti manderò al lavoro in calzoncini da tennis?”
“…”
“Ecco, bravo. Taci, che è meglio. Sennò ti elenco tutte le volte che ti ho implorato inutilmente di venire con me, per sostituirli. Ora che sei nudo, forse non dovrò usarti violenza per trascinarti al sacrificio.”
L’uomo batte in ritirata, sconfitto. Sopraggiunge la Miss, che mi chiede: “Mamma… fai la lavatrice?”
La voce è flautata, l’occhione melenso.
“Sì. Perché, hai roba da lavare?”
Cenno di assenso.
“Ma ieri non mi avevi telefonato per avere le istruzioni su come farla partire?”
“Sì, ma ci ho rinunciato. Troppo complicato”
“Ok, vieni con me che ti insegno”
“Ma a che serve? Ora starai qui con noi per sempreee…”
Mi abbranca, soffocandomi di coccole, per poi sgusciare via rapidamente, al seguito del fratellone. Opportunista.
Per stasera, però, va bene così. Non ce la faccio, a improvvisare anche uno stage di economia domestica a una signorina riottosa. Rimando la soluzione del problema ad altra data.
Il gaglioffo, invece, appena mi vede incrociare nei pressi della sua camera, mi vieta l’ingresso: “Pericolo di morte, mamma!!!”
“Va bene, non entro. Però tu adesso la riordini!”
“Sì. Dopo.”
Questa è la frase che odio di più, a pari merito con “Un attimo!”
Quantità di tempo indefinite – con tendenza all’infinito –  che possono andare dai sei minuti ai sei anni.
Difatti, lo vedo arrivare alle dieci per una doccia, portandomi il rotolo gigante di carta, scordato nel bagno: “Ogni più piccolo errore si tradurrà in una catastrofe!”
In effetti, se l’oggetto cade in zampa ai gatti, lo riducono a brandelli.
“C’è uno shampoo doccia?”
“Ti ho preso questo, al riso…”
“Al riso?! Mi hai preso per un cinese???”
“Amido di riso!!! L’altro non ti faceva allergia…?”
“Ah, vero. Grazie.”
Dopo un tempo esagerato, me lo vedo entrare, indossando un accappatoio rosa. Pur di non fare la fatica di andare a prenderne un altro, quello gira combinato come una signorina. Non commento, limitandomi a imporre: “Matteo, riordina la tua stanza!”
“Sono le dieci e mezzo!”
“Sono le dieci e venti. Saranno le dieci e mezzo quando avrai finito. Fila!”
Borbottio indistinto.
Passo alla fase ricattatoria: “Vuoi che ti rifaccia le focaccine, domani? Allora riordina!”
Sparisce.
In capo a cinque minuti, la cesta della biancheria da lavare è di nuovo straboccante: in mia assenza, l’individuo è stato in piedi fino alle tre di notte, a letto fino a mezzogiorno e  ha tesaurizzato indumenti sporchi. Una condizione di abbrutimento totale.
“Ehhhh, queste sì che son state vacanze! Purtroppo, adesso è tornata la strega. Meglio rassegnarsi!”
Appunto: meglio rassegnarsi. Vale anche per me.


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